L’analisi degli ultimi dati forniti dall’ISTAT sull’andamento del Mercato del Lavoro delle regioni italiane può essere una buona base di partenza per proporre una riflessione sulle prospettive occupazionali in Calabria. L’analisi deve necessariamente partire distinguendo tra forze lavoro e non forze lavoro. I due elementi che discriminano sono la condizione lavorativa e la ricerca di lavoro. La mancata ricerca di lavoro può essere dovuta a cause demografiche (pensionati), a motivazioni reddituali (possidenti), ad appartenenza ad alcune categorie (religiosi) e allo scoraggiamento nella ricerca di lavoro. Com’è facile intuire è solo l’ultima categoria che è oggetto di interesse per le politiche del lavoro di uno Stato o di una Regione, perché sono le variazioni di questo gruppo ad avere ricadute reali sul mercato del lavoro. Il transito dalle non forze lavoro alle forze di lavoro con conseguente aumento del numero dei disoccupati, costituisce un segnale positivo perché è segno di una ritrovata fiducia degli scoraggiati. Il tasso di disoccupazione è il rapporto fra disoccupati e forze lavoro, il tasso di occupazione è il rapporto fra occupati e popolazione, il tasso di attività è il rapporto fra forze lavoro e popolazione. Analizzando questi indicatori si possono verificare tre situazioni importanti: (A) aumento della disoccupazione, aumento o stazionarietà dell’occupazione, aumento del tasso di attività; (B) diminuzione disoccupazione, diminuzione occupazione, diminuzione del tasso di attività; (C) diminuzione della disoccupazione, aumento occupazione, aumento del tasso di attività.
Il caso “C” è quello ottimale, il caso “B” è lo scenario peggiore, il caso “A” rappresenta un caso molto positivo. La tabella 1 mostra come la Calabria si collochi nello scenario peggiore con una diminuzione del tasso di disoccupazione, una diminuzione del tasso di occupazione e una diminuzione del tasso di attività, segno di una perdita di occupazione e di un aumento dei disoccupati scoraggiati che si pongono al di fuori del mercato del lavoro. E’ importante osservare come la Calabria rappresenti la maglia nera anche rispetto alle altre regioni del mezzogiorno. Lo scenario peggiore può essere definito come una trappola, nella quale le politiche tradizionali sono del tutto inefficaci e senza uno shock molto forte il quadro economico può rischiare di avvitarsi. Ciò è ancora più grave se consideriamo che oggi la Calabria occupa il 20° posto fra 20 regioni per ciò che concerne il tasso di disoccupazione e di occupazione ed è al 19° posto per ciò che concerne il tasso di attività, con livelli di disoccupazione molto al di sopra e livelli di occupazione molto al di sotto anche di quelli del Mezzogiorno. In Calabria gli occupati sono solo un quarto della popolazione e tra il 2014 e il 2015 si sono persi 8 mila posti di lavoro in uno scenario economico in cui le altre regioni, trainate dal Job Act e dal grande piano di assunzioni nella scuola, hanno visto un po’ ovunque crescere l’occupazione. Nel solo mezzogiorno vi è un saldo positivo di 94000 occupati. Le motivazioni di questa drammatica situazione vanno ricercate nell’endemica latitanza delle istituzioni e nel drammatico fallimento di tutte le politiche occupazionali che hanno dato fiato e potere a tutto un sottobosco politico-clientelare che ha barattato il consenso con la promessa di uno sviluppo assistito, che si manifestava in una pioggia di finanziamenti non inseriti in alcun progetto serio ed organico di sviluppo e che non faceva altro che inseguire le emergenze, non per risolverle, bensì per perpetuarle. Per non ripetere gli errori del passato e avviare circoli virtuosi di sviluppo occorre, allora, avere il coraggio di progettare lo sviluppo con una filosofia nuova. L’economia calabrese, se opportunamente governata, ha la capacità potenziale di annullare in pochi anni il gap che la separa dalle altre regioni avanzate dell’Europa. Occorre, quindi, promuovere e guidare processi di crescita e attuare politiche di sviluppo in grado di accrescere la dotazione di risorse materiali e immateriali della regione, governando i processi di produzione in maniera ottimale. Le politiche del lavoro non dovranno più essere collegate, semplicisticamente, alle tante questioni che scaturiscono dalle emergenze occupazionali, a cui si dovrà, però, dare una soluzione rapida e definitiva. Dovranno, piuttosto, essere progettate delle politiche per governare i processi di cambiamento e di innovazione che, necessariamente, dovranno caratterizzare la regione nei prossimi anni per aumentarne il livello di competitività. Tenuto conto che la disoccupazione è la patologia più grave della società calabrese, e il fattore che più di tutti contribuisce alla bassa qualità degli assetti sociali e istituzionali, nonché alla riduzione del diritto alla cittadinanza e della stessa democrazia, è possibile porvi rimedio solo adottando un insieme coordinato e integrato di azioni che pongano in primo piano l’inscindibile nesso tra politiche del lavoro, politiche per lo sviluppo e politiche industriali. Le politiche dell’occupabilità non possono fare molto in un sistema che ha un forte deficit dal lato della creazione dei posti di lavoro. Occorre operare, quindi, su questo versante e con un set di politiche diversificato, data la natura complessa del problema.
I cinque pilastri delle politiche del lavoro in Calabria devono, quindi, essere i seguenti: (1) Politiche di incentivazione; (2) Politiche industriali e territoriali; (3) Politiche di valorizzazione del capitale umano; (4) Politiche di creazione di reti e di fiducia; (5) Politiche di emersione
Di fronte alla tragedia epocale della mancanza di lavoro e di fronte ad un quadro economico che rischia di intrappolare per anni la Calabria nel sottosviluppo, non si avverte una consapevolezza forte del baratro sul cui bordo stiamo camminando, emulando coloro che continuavano a ballare mentre il Titanic affondava. Si sono sentite troppo spesso negli anni dichiarazioni che hanno annunciato la creazione di migliaia di posti lavoro e che hanno millantato il successo di determinate politiche. I numeri purtroppo smentiscono questi facili ottimisti e ci indicano una sola via per uscire da questo pericoloso stallo. Il varo immediato di una Terapia d’Urto per l’Occupazione in cui si utilizzino in maniera intelligente e corretta tutti gli strumenti che la politica economica mette a disposizione del policy maker, coinvolgendo in questo patto sociale tutte le forze sane della regione. Siamo drammaticamente gli ultimi degli ultimi, ultimi di un Mezzogiorno che già è marginale per l’Italia e per l’Europa. Il tempo delle parole è già passato. Servono fatti e con estrema urgenza.