Da Nord a Sud. Divari economici e politiche pubbliche dall’euro alla pandemia

La nuova proposta editoriale di Carmelo Petraglia e Stefano Prezioso

Segnaliamo il volume di Carmelo Petraglia e Stefano Prezioso Nord e Sud. Divari economici e politiche pubbliche dall’euro alla pandemia (Carocci, 2023), di cui, di seguito, pubblichiamo alcuni brani.

Gli autori esaminano le dinamiche dell’economia italiana e l’andamento del divario Nord-Sud alla luce delle grandi trasformazioni che hanno contraddistinto l’ultimo ventennio: l’integrazione monetaria europea, la crescente globalizzazione, la crisi finanziaria mondiale e la pandemia da Covid-19. Particolare attenzione è dedicata alle politiche attuate per contrastare le disuguaglianze che caratterizzano il nostro paese.

Per molti anni il Mezzogiorno è stato considerato un problema per la crescita italiana.

Nei primi anni Duemila, ha preso sempre più corpo la tesi della questione settentrionale. L’irrisolta questione del Mezzogiorno è stata diffusa­mente presentata nel dibattito pubblico come la causa del declino eco­nomico italiano.

Con margini di azione compressi dalle regole europee e dall’eccesso di regionalismo, i governi nazionali hanno progressivamente abbandonato l’obiettivo del riequilibrio territoriale. La soluzione della questione meridionale è stata affidata – quasi “esternalizzata” – alla politica di coe­sione, che si è rivelata però inefficace, anche perché depotenziata da un intervento pubblico ordinario sempre più debole.

Con il programma Next Genera­tion EU, l’Europa ha riportato l’attenzione sulla “coesione eco­nomica, sociale e territoriale”. Non solo per equità, ma perché ridurre le disuguaglianze tra persone, imprese e territori aiuta la crescita. È presto per parlare di un cambio di visione condiviso. Ma è indubbio che, per la prima volta da decenni, si stiano creando condizioni favorevoli per guardare al Sud come soluzione e non più (solo) come problema.

In questo tornante di potenziale svolta, il volume propone al lettore un viaggio in tre tappe, a ciascuna delle quali è dedicata un capitolo.

L’avvio del nuovo millennio è stato segnato dall’introduzione dell’eu­ro e dall’arrivo a piena maturazione della globalizzazione. Un duplice shock che ha messo in moto cambiamenti radicali nel gioco della com­petizione internazionale. L’euro ha introdotto nuove regole in Euro­pa, mentre la globalizzazione ha ampliato il campo da gioco favorendo l’ingresso di nuovi concorrenti su scala globale. Il duplice shock euro/globalizzazione ha spiazzato l’industria nazionale, innescando uno strisciante processo di divergenza tra le strutture produttive del Mez­zogiorno e del Nord. Le “forze dello sviluppo”, per citare l’eco­nomista Paolo Sylos Labini, hanno agito soprattutto in alcune regioni del Nord, laddove la base industriale è stata in grado di adattarsi, sep­pur in maniera parziale e tardiva rispetto a quanto avvenuto nelle aree più dinamiche d’Europa, ai cambiamenti indotti dal mutato contesto internazionale. L’economia meridionale si è invece progressivamente indebolita, e le sacche di povertà e precarietà, che strutturalmente la caratterizzano, sono aumentate.

La crisi finanziaria globale del 2007-08 ha innescato la “lunga crisi” del 2008-14. Gli ef­fetti della grande recessione sono stati più profondi e prolungati nel Mezzogiorno. La risposta austera delle politiche di bilancio alla crisi del debito italiano ha amplificato gli impatti già territorialmente asim­metrici della crisi, soprattutto per effetto del crollo degli investimenti pubblici. La base industriale meridionale si è ridimensionata. Nel Nord, in­vece, sono proseguiti i processi di ammodernamento dell’industria e dei servizi, anche se insufficienti a recuperare il ritardo rispetto alle regioni più avanzate d’Europa. Il divario Nord-Sud ha assunto una nuova dimensione socia­le: la questione meridionale è divenuta anche una questione di diritti di cittadinanza limitati, soprattutto nella sanità e nell’istruzione. Sono riprese con vigore le migrazio­ni Sud-Nord che coinvolgono sempre più giovani laureati. Un vero e proprio esodo che depaupera il Sud di forza lavoro qualificata e di futura classe dirigente.

Lo shock da covid-19 ha causato la più grave recessione globale dalla fine della Seconda guerra mondiale, colpendo un’economia nazionale in stagnazione e un Mez­zogiorno che non aveva ancora recuperato le perdite di produzione e occupazione causate dalla “lunga crisi”. Eppure, grazie alla “nuova” Europa, che ha temporaneamente accantonato l’austerità, le politi­che pubbliche italiane sono state segnate da enormi discontinuità. A differenza che nelle crisi passate, l’intervento pubblico ha contenuto i danni economici e sociali durante l’emergenza, accompagnato la ripre­sa economica, contenuto l’ampliamento delle disuguaglianze. Soprat­tutto, con il PNRR l’Italia ha impostato un programma di riforme e investimenti di medio termine, impegnandosi a conciliare gli obiettivi di crescita e quelli di riduzione delle disuguaglianze territoriali.

Il PNRR è chiamato a contrastare due grandi divergenze. Da un lato, andrebbero riequilibrate le condizioni di accesso ai di­ritti di cittadinanza, investendo in infrastrutture sociali per innalzare quantità e qualità dei servizi pubblici nei territori a maggior fabbiso­gno; dall’altro andrebbe ricomposta la divaricazione quali-quantitati­va tra sistemi produttivi regionali, accompagnando l’ampliamento e l’ammodernamento della base produttiva delle regioni in ritardo.

C’è una potenzialità legata alla “nuova” Europa del Next Generation EU che va oltre il PNRR: la possibilità di far divenire la coesione econo­mica, sociale e territoriale un obiettivo esplicito da conseguire con le politiche generali, non più con la sola politica di coesione. La novità da cogliere dovrebbe interessare soprattutto la “qua­lità” delle politiche. La lotta alle disuguaglianze dovrebbe, finalmente, tornare a svolgere quel ruolo di leva della crescita nazionale smarrito da decenni. E dovrebbe tornare a contare la regia statale dell’azione pubblica, depotenziata dal regionalismo all’italiana che ha reso troppo frammentarie e particolaristiche le politiche di sviluppo.


 

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