Lo scorso 28 febbraio le Regioni di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno sottoscritto tre distinti accordi preliminari con il Governo nazionale[1], rappresentato dal sottosegretario Gianclaudio Bressa. Complice l’approssimarsi delle elezioni politiche, la notizia non ha goduto del risalto mediatico che avrebbe meritato. Gli accordi rappresentano il primo passaggio del tentativo di dare attuazione concreta, per la prima volta dalla sua introduzione, all’art. 116 comma 3 della Costituzione (“Terzo Comma” nel prosieguo).
Cos’è il Terzo Comma Il Terzo Comma è stato aggiunto all’articolo 116 dalla riforma costituzionale del 2001, sulla base delle spinte autonomiste. Esprime il concetto del cosiddetto “regionalismo differenziato”, che prevede la possibilità di poter ottenere un maggior livello di autonomia regionale rispetto alla ripartizione di competenze tra Stato e Regioni dettata dall’art. 117, seppur rimanendo pienamente nell’alveo costituzionale. Le “ulteriori forme di autonomia” possono riguardare tutte le materie soggette alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, nonché le materie inerenti ai giudici di pace, alle norme generali “sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. È previsto che le competenze su tali materie «(…) possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’art. 119 (3). La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata». Il Terzo Comma non è stato mai oggetto di una legge specifica di attuazione.
In cosa consistono gli accordi preliminari firmati il 28 febbraio? Sei articoli più gli allegati. L’accordo ha ad oggetto «(…) i principi generali, la metodologia e le materie per l’attribuzione alla Regione (…) di autonomia differenziata (…)». Si prevede poi una durata decennale per l’eventuale Intesa Stato-Regione da stipulare, prevista dal Terzo Comma, rinnovabile, nonché l’espletamento delle verifiche e dei monitoraggi. L’articolo 4 è il più importante: “Risorse”. È un capitolo fondamentale, perché nessuna delle Regioni firmatarie mira a un semplice trasferimento di competenze, ma tutte puntano a poter ottenere (o trattenere) maggiori risorse. La campagna elettorale che ha preceduto i referendum di ottobre è stata quasi interamente dedicata al “residuo fiscale” (differenza tra entrate e spese della pubblica amministrazione riferite a ogni singola regione), da trattenere nelle Regioni stesse. L’accordo preliminare affida un gravoso compito ad un’apposita “commissione paritetica Stato-Regione”, che dovrà determinare le risorse finanziarie da attribuire alle Regioni in termini di:
- a) «compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale, tali da consentire la gestione delle competenze trasferite o assegnate, in coerenza con quanto disposto dall’ 119, quarto comma, della Costituzione»;
- b) «spesa sostenuta dallo Stato nella Regione (quale criterio da superare in via definitiva), riferita alle funzioni trasferite o assegnate»;
- c) «fabbisogni standard, che dovranno essere determinati entro un anno dall’approvazione dell’Intesa e che progressivamente, entro cinque anni, dovranno diventare, in un’ottica di superamento della spesa storica, il termine di riferimento, in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali, fatti salvi gli attuali livelli di erogazione dei servizi».
Negli allegati sono invece indicate le materie che saranno oggetto di maggiore autonomia: politiche del lavoro, istruzione, salute, tutela dell’Ambiente e dell’Ecosistema, rapporti internazionali e con l’Unione europea. Sussistono negli stessi alcune differenze tra le Regioni, che non verranno affrontate in questa sede.
L’importanza del capitolo risorse Difficile fare previsioni su come potrà svilupparsi il lavoro della commissione, ma sappiamo gli obiettivi dietrostanti. In particolare il Veneto li ha evidenziati sin dall’indomani del successo referendario[2]. Si legge nella proposta di legge approvata dal Consiglio Regionale veneto del 15 novembre 2017, che «Spettano complessivamente alla Regione (…) le seguenti quote di compartecipazione ai tributi erariali riscossi nel territorio della Regione stessa: a) nove decimi del gettito dell’Irpef; b) nove decimi del gettito dell’Ires; c) nove decimi del gettito dell’Imposta sul valore aggiunto».
Chiaramente l’asticella è stata alzata di proposito, pur sapendo che una simile proposta sarebbe incompatibile con la giurisprudenza costituzionale, che si è già espressa sul punto (sent. n. 118/2015). Ma le intenzioni sono sicuramente chiare, senza mai dimenticare che uno dei quesiti referendari del Veneto sottoposti al vaglio della Consulta nel 2014 così recitava: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Sì o no?”.
Dall’altro versante del tavolo ci sarà lo Stato. L’interpretazione che fuoriusciva dagli ambienti governativi dopo la consultazione del 22 ottobre era molto semplice. Possiamo riassumerla così: si parte dalle spese, si individua il costo aggiuntivo sostenuto dalla Regione per le competenze aggiuntive assegnata all’ente, lo si eroga in termini di finanziamento e/o di trattenuta sul gettito. Un gioco un po’ complicato da costruire, ma dovrebbe essere a somma zero per il bilancio dello Stato. Il residuo fiscale resterebbe immutato.
Se l’Intesa venisse impostata su queste basi, avremmo situazioni di ulteriore decentramento legislativo e amministrativo, probabilmente caotico e disorganico, ma nulla più. Si può ragionevolmente dubitare che la trattativa possa chiudersi in questi termini, senza pesanti ripercussioni politiche, ma siamo nel campo delle ipotesi.
Il potenziale impatto sulla Calabria Come scriveva Antonio Aquino su questo portale[3], la Calabria gode di «(…) trasferimenti fiscali automatici (“residuo fiscale”) dalle regioni del Nord dell’Italia per un valore pari a circa il 25% del prodotto interno lordo». Una dipendenza di vitale importanza per i conti delle pubbliche amministrazioni calabresi. In un altro saggio[4], sempre pubblicato da Open Calabria, Francesco Aiello e Michele Mercuri hanno mostrato alcuni effetti negativi sui piccoli comuni calabresi, già previsti ex lege, che potrebbero derivare dal passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei fabbisogni standard, seppur temperato rispetto alle intenzioni iniziali della Legge n. 42/2009. Sostanzialmente la nuova perequazione prevista dall’Accordo Stato-Città del 2015, che trova fondamento sempre nell’art. 119 della Costituzione, mira a coprire il gap tra la capacità fiscale di un territorio e i suoi fabbisogni standard. Tuttavia il criterio della spesa storica non verrà ancora superato, ma continuerà a valere per il 50%.
Seppur la Costituzione miri a tutelare i territori con bassa capacità fiscale, non si possono preventivare ex ante gli effetti di un braccio di ferro tra lo Stato e le Regioni richiedenti l’autonomia. Come riuscire a resistere in un’Italia maggiormente federalista e ad una possibile riduzione del residuo fiscale? La strada migliore sarebbe quella di prepararsi adeguatamente alla maggiore autonomia prima che essa venga imposta dall’alto, cogliendoci impreparati. Ciò significa lavorare per un efficientamento della finanza pubblica locale, sia dal lato delle uscite sia delle entrate. Una sfida difficile, resa ancor più complicata da tanti decenni basati sulla consapevolezza che i trasferimenti perequativi avrebbero colmato qualsiasi inefficienza. Con i dovuti distinguo, ricorda il fenomeno descritto dal premio Nobel Angus Deaton[5] che, con riferimento agli aiuti allo sviluppo ai Paesi africani, evidenziava come il circolo vizioso creato dagli aiuti possa produrre assuefazione, riducendo gli incentivi dei governanti locali di reperire risorse attraverso l’imposizione fiscale, mantenendo così il consenso dei cittadini e – con esso – il potere.
L’alternativa è quella della diplomazia politica, ma oltre ad essere la meno efficiente e lungimirante, dipenderà dall’abilità dei governanti meridionali, che sembrano in ritardo rispetto agli omologhi settentrionali. Alcuni politici locali pare vogliano persino percorrere la strada di Lombardia e Veneto, ma forse non hanno ben chiari i confini e le complessità della questione.
Qual è la posizione in merito della Regione Calabria? Quale quella di chi già guarda alle elezioni del 2019?
[1] http://www.affariregionali.gov.it/il-sottosegretario/comunicati/2018/febbraio-2018/autonomia-bressa-firma-l-accordo-preliminare-con-emilia-romagna-lombardia-e-veneto/
[2] http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2017/12/08/veneto-referendum-politica/
[3] http://www.opencalabria.com/aspetti-economici-del-problema-calabria/
[4] http://www.opencalabria.com/piccoli-comuni-calabresi-rischio-chiusura/
[5] Deaton A., “La grande fuga. Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza”, il Mulino 2015 (ed. originale Princeton University Press 2013)