Dimensione e operatività dei centri per l’impiego in Calabria

I Centri per l’Impiego (CPI), regolati dal D. Lgs. n. 469/1997, sono strutture pubbliche regionali attualmente coordinate dalle amministrazioni provinciali il cui compito principale è orientare il mercato del lavoro a livello locale. Le principali mansioni svolte dai CPI sono le seguenti: collocamento dei lavoratori presso datori di lavoro privati; collocamento obbligatorio per le persone affette da disabilità; avviamento dei lavoratori vincitori di concorsi pubblici; preselezione di candidati; iniziative volte a incrementare il lavoro femminile. Non meno importanti, inoltre, sono le funzioni di orientamento e di gestione delle politiche attive, il cui obiettivo è quello di “aiutare e facilitare il ricollocamento dei percettori di ammortizzatori sociali in deroga, attraverso percorsi formativi, tirocini e incentivi”. Il compito di monitorare e coordinare in materia di lavoro è affidato, invece, allo Stato attraverso organi quali l’ispettorato del lavoro e le Direzioni provinciali del lavoro.

L’indagine sui servizi per l’impiego

Sebbene l’indagine ministeriale del 2014 indichi che in Italia ci sono 550 CPI, il monitoraggio è effettuato considerando 536 unità, poiché le informazioni di 14 CPI sono state aggregate a un centro di riferimento più grande. Dalla tabella 1 si evince che l’86,6% dei CPI ha inviato i propri dati al Ministero, la restante parte è stata integrata imputando i valori registrati nell’ambito della medesima indagine del 2013. Come riportato nella quarta colonna, il dato calabrese risulta essere il peggiore a livello nazionale: se per ogni regione si rapporta il numero di CPI che hanno risposto al censimento con il totale dei CPI regionali, la Calabria si colloca all’ultimo posto con una percentuale di risposta pari al 14,3%. Si tratta di un divario rilevante se si pensa che in molte aree del paese il tasso di risposta è del 100% (Marche, Trentino Alto Adige, Umbria, Abruzzo, Liguria, Valle d’Aosta, Piemonte, Veneto) ed è molto elevato in tutte le altre regioni (la media nazionale è dell’86,6%). La presenza dei CPI sul territorio nazionale è garantita dall’art. 4, comma 1, lett. f, del D. Lgs. n. 469/1997, il quale prevede che «la distribuzione territoriale dei Centri [deve essere effettuata] sulla base di bacini provinciali con utenza non inferiore a 100.000 abitanti, fatte salve motivate esigenze socio geografiche». Questo criterio risponde, evidentemente, all’esigenza di uniformare l’ammontare potenziale di attività che ciascun CPI può svolgere sul territorio di riferimento.

L’operatività dei Centri per l’Impiego

L’operosità dei CPI è monitorata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali tramite delle apposite indagini, la più recente delle quali è del 2014 (Indagine sui servizi per l’impiego 2014, Rapporto di Monitoraggio). Questo rapporto pone l’attenzione sull’importanza del sistema di monitoraggio sui servizi per l’impiego quale importante strumento per la diffusione e lo sviluppo delle politiche del lavoro in Italia. L’analisi del Ministero indica che la capacità di monitorare l’attività dei servizi pubblici a supporto del mercato del lavoro è ancora a livelli bassi, a causa soprattutto della mancanza di una base dati consolidata che pregiudica qualsiasi ipotesi di approfondimento. Ciò implica che la condivisione delle informazioni diventa un obiettivo strategico da perseguire ad ogni livello di amministrazione pubblica (nazionale, regionale e provinciale).

Un elemento che rende incomprensibile il dato sul basso tasso di risposta all’indagine ministeriale proviene dal numero medio di operatori per CPI, che in Calabria risulta essere il più alto a livello nazionale: in Italia si occupano in media 15,6 addetti per CPI, mentre nei CPI calabresi lavorano in media 36,7 operatori. Molto più del doppio della media nazionale. Cinque volte maggiore del valore della Valle D’Aosta. Quattro volte maggiore la dimensione media dei CPI veneti.  Guardando a questi valori di scala, risulta naturale pensare che il tasso di risposta all’indagine 2014 della Calabria dovrebbe essere molto più elevato del valore osservato. Non è ben chiaro da dove trae origine in Calabria l’inefficienza nella comunicazione e trasmissione di dati verso il Ministero. Certamente non dipende dall’assenza di personale. Anzi. Esistono altre ragioni che giustificano tale inefficienza comunicativa? Già dall’indagine “Monitoraggio Centri per l’Impiego” del 2007 curata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e dalla Regione Calabria era possibile notare che persisteva l’archiviazione cartacea nonostante l’elevata informatizzazione e il collegamento a Internet di tutti gli uffici. Nelle conclusioni dello stesso rapporto si legge, altresì, che le due principali criticità emerse su tutte le province calabresi riguardano l’ambito comunicativo e il monitoraggio interno. Si tratta di un gap di efficienza da capire e colmare e da tener conto nel processo di riorganizzazione dei CPI calabresi.

Un approfondimento

Il numero medio di utenti per addetto può essere considerato una buona proxy della produttività dei CPI. Se consideriamo il numero medio di individui che hanno effettuato la Dichiarazione di Immediata Disponibilità al Lavoro (DID) per operatore, si ottiene, ancora una volta, che la Calabria occupa le posizioni di coda (peggio di noi solo la Sicilia) mettendo in risalto l’utilizzo sproporzionato di forza lavoro rispetto al potenziale utilizzo dei CPI nell’ambito dei bacini di utenza della nostra regione.

In Calabria, un operatore  CPI istruisce, in media, 144 DID, ossia la metà della media nazionale che è pari a 281 DID per addetto. Ma a cosa è dovuta questa bassa produttività? Qualche riflessione è possibile formularla guardando ai dati riportati nella Tabella 2, in cui si fa  riferimento ai “disoccupati amministrativi” ed ai “disoccupati statisticamente intesi”. I primi sono quelli che hanno effettuato la DID presso un qualsiasi CPI, mentre i secondi sono quelli individuati dall’indagine sulle forze di lavoro dell’Istat. Questi ultimi non necessariamente hanno effettuato la DID, ma per essere considerati disoccupati devono aver svolto nelle quattro settimane precedenti l’intervista almeno un’azione concreta di ricerca di lavoro. A livello aggregato, in Italia l’ammontare totale di  disoccupati è superiore del numero di coloro che hanno sottoscritto una DID. È interessante avere un ordine di grandezza delle differenze regionali di questi valori. A tale fine è ragionevole ricordare che la sottoscrizione di una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro è requisito necessario per poter accedere a determinate prestazioni sociali, quali, per esempio, indennità di disoccupazione e l’esenzione dal pagamento del ticket sanitario. Ciò dovrebbe far pensare che il numero di individui che sottoscrivono una DID potrebbe essere maggiore del numero di disoccupati statisticamente intesi: chi sottoscrive una DID, infatti, potrebbe non avere alcuna intenzione di cercare concretamente un impiego, ma lo fa solo per poter accedere al strumenti di politica sociale. E’ una questione di incentivi.

Per molte regioni, questa ipotesi ha un riscontro empirico (vedi Marche, Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta). In altre (Basilicata, Puglia, Molise, Toscana, Liguria, Lombardia, Veneto) i due dati tendono ad essere uguali. In Calabria, invece, il numero di individui che si è recato presso un CPI ad effettuare la DID è pari solo al 49% dei disoccupati statisticamente intesi. I due gruppi non necessariamente sono l’uno il sottoinsieme dell’altro, ma questo dato dimostra come per qualche motivo i CPI calabresi risultino essere poco attrattivi agli occhi dei potenziali utenti, nonostante gli incentivi legati alle prestazioni sociali.

Discussione

Questa evidenza indica in modo inequivocabile che la bassa produttività dei CIP calabresi, misurata in termini di DID per operatore, dipende sia dal fatto che, in media, la dotazione di personale è significativamente alta (questo è ancora più vero se si guarda alla dimensione occupazionale dei CPI delle altre regioni) sia perché i potenziali fruitori dei servizi non si rivolgono ai CPI. Si tratta di due questioni molto sensibili di cui occorre tener conto in fase di riorganizzazione del ruolo dei CPI calabresi. A parità di livelli occupazioni nei CPI, un’ipotesi di ristrutturazione organizzativa degli stessi dovrebbe andare nella direzione di aumentare l’attrattività dei CPI adottando, per esempio, effettive azioni di comunicazione dei servizi erogati. Una sorta di sollecito affinché i CPI si aprano al territorio, giustificando, in tal modo, l’utilità di mantenere i differenziali occupazionali tra i CPI calabresi e quelli delle altre regioni.

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(*) Luigi Capristo ha conseguito la laurea Magistrale in Economia Applicata presso l’Università della Calabria nel mese di Dicembre del 2015. E’ promotore del blog POVemergenti.wordpress.com. Giovanni Drammis è laureato in Economia ed è iscritto alla laurea Magistrale in Economia Aziendale presso l’Università della Calabria.

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