Il prezzo di equilibrio competitivo del lavoro in Calabria e nelle altre regioni del Mezzogiorno

Vittorio Daniele, in un lucido intervento su OpenCalabria (Daniele, 2017), ha messo l’accento sull’importanza del prezzo del lavoro e delle aliquote di imposizione fiscale sui profitti, per la localizzazione degli investimenti produttivi, e quindi per lo sviluppo economico delle diverse regioni.

Qui si vuole cercare di sviluppare questo tipo di analisi cercando in particolare di quantificare approssimativamente il livello del prezzo del lavoro che potrebbe essere di equilibrio competitivo per la Calabria e per le altre regioni del Mezzogiorno, e di riflettere sulle modalità con cui si potrebbe concretamente implementare questo prezzo di equilibrio del lavoro. L’attenzione è concentrata sul prezzo del lavoro, piuttosto che sull’imposizione fiscale dei redditi d’impresa, per due ordini di motivi.

In primo luogo perché l’imposizione fiscale sui profitti può essere efficace per attrarre investimenti soltanto se il livello dei costi, e in particolare del costo del lavoro, consente già alle imprese di ottenere livelli significativi di profitto. In secondo luogo perché si ritiene che l’esigenza più avvertita in Calabria e nelle altre regioni del Mezzogiorno sia quella di aumentare il tasso di occupazione, e questo obiettivo può essere più efficacemente perseguito attraverso una riduzione del prezzo del lavoro piuttosto che attraverso una minore imposizione fiscale sui redditi d’impresa, che potrebbe favorire soprattutto processi produttivi maggiormente capital-intensive.

Un’idea di massima sul prezzo del lavoro di equilibrio competitivo per le regioni del Mezzogiorno si può avere sulla base della differenza di produttività fra Centro-Nord e Sud dell’Italia nell’industria manifatturiera. E’, infatti, principalmente nell’industria manifatturiera che le diverse regioni e nazioni competono per la localizzazione della produzione. Secondo le stime della Svimez (2016, pag. 8), nel periodo 2001-2015 il valore aggiunto per occupato nell’industria manifatturiera del Mezzogiorno è stato pari in media a circa il 70% di quello del Centro-Nord. Considerando che secondo le stime di Eurostat (2016) il prezzo per le imprese industriali italiane di un’ora di lavoro è di circa 28 euro e che il fortissimo avanzo negli scambi con l’estero[1] sembra indicare che il  prezzo del lavoro nel Nord dell’Italia è attualmente significativamente inferiore rispetto a quello di equilibrio competitivo,  si potrebbe  stimare che un livello del prezzo del lavoro per le imprese manifatturiere localizzate nelle regioni del Mezzogiorno dell’ordine di 18-20 euro per ora di lavoro potrebbe consentire la competitività in queste regioni di una quantità di attività manifatturiere in grado di portare verso un livello fisiologico il tasso di occupazione, con un incremento significativo del prodotto interno lordo per abitante.[2]

Questo risultato potrebbe essere concretamente perseguito mediante due modalità tipiche (o una loro combinazione)[3]: 1) una differenziazione  dell’ordine del 35-40 % nelle retribuzioni nominali fra Nord e Sud dell’Italia in tutti i settori produttivi, sia pubblici che privati. Considerate le differenze nei prezzi dei prodotti a mercato locale, in termini reali la differenza sarebbe nell’ordine del 20%.  2) Mediante l’azzeramento degli oneri fiscali e contributivi per i lavoratori impiegati nelle attività produttive del Mezzogiorno aperte alla concorrenza esterna, e in particolare nelle attività manifatturiere.

L’onere effettivo finale per la finanza pubblica di questo azzeramento sarebbe probabilmente nullo, se non addirittura positivo, se si considera che in sua assenza l’occupazione manifatturiera nel Mezzogiorno continuerebbe a rimanere molto bassa, mentre una sua significativa espansione stimolata dalla riduzione del prezzo del lavoro avrebbe effetti moltiplicativi significativi sulla produzione e l’occupazione nei settori a mercato esclusivamente locale, con conseguente aumento delle entrate fiscali e contributive[4]. In ogni caso, la scelta fra queste due modalità dovrebbe essere un problema di natura politica esclusivamente interna all’Italia.

 Tuttavia, per motivi di cui non si riesce a capire la logica economica, la Commissione Europea, a partire dagli anni novanta del secolo scorso si è pervicacemente opposta alla seconda modalità di riequilibrio competitivo del Mezzogiorno perché comporterebbe una concorrenza sleale delle imprese manifatturiere localizzate nel Sud dell’Italia rispetto alle imprese manifatturiere localizzate in altre regioni o paesi dell’Unione Europea! Non si capisce perchè un prezzo del lavoro di circa 18 euro per le imprese industriali localizzate nel Mezzogiorno sarebbe distorsivo della concorrenza, a fronte di prezzi di un’ora di lavoro per le imprese industriali di 11 euro in Portogallo, 10 euro nella Repubblica Ceca, 8,6 euro in Polonia, 5 euro in Romania (Eurostat, 2016).[5]


[1] Secondo la Relazione della Banca d’Italia di maggio 2016 (Appendice, pagina 80) l’Italia ha registrato nel 2015 un avanzo del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l’estero pari a circa 36 miliari di euro, corrispondenti a circa il 3% del PIL del Centro-Nord;  sempre secondo le stime della Banca d’Italia  (Economia delle regioni italiane, dicembre 2016, pagina 82) nel 2014 i trasferimenti dal Centro Nord verso il Mezzogiorno, corrispondenti grosso modo al disavanzo corrente di una ipotetica bilancia dei pagamenti verso l’esterno del Mezzogiorno,  sono stati pari al 7,6% del PIL del Centro-Nord dell’Italia (15,5% del PIL del Mezzogiorno). Sulla base di questi dati si può stimare un avanzo corrente della bilancia dei pagamenti del Centro-Nord dell’Italia dell’ordine del 10% del PIL.

[2] Secondo le stime della Svimez (2016, pagina 5) nel 2015 il prodotto interno per abitante nelle regioni del Mezzogiorno è stato pari al 56,5% di quello del Centro-Nord dell’Italia, a causa di un prodotto per occupato pari al 78% di quello del Centro-Nord e ad un numero di occupati per abitante pari al 72,3% di quello del centro-Nord. Portando il tasso di occupazione del Mezzogiorno al livello di quello del Centro-Nord, anche ipotizzando una riduzione di circa il 10% del prodotto medio per occupato nel Mezzogiorno per effetto dell’espansione della produzione da parte di imprese a più basso valore aggiunto per occupato,  il PIL per abitante del Mezzogiorno potrebbe quindi aumentare dal 56% a circa il 70% di quello del Centro-Nord.

[3] Una soluzione intermedia potrebbe essere la seguente: differenziale salariale Nord-Sud compensativo delle differenze nel costo della vita (circa 18%), più sgravi fiscali e contributivi per le attività manifatturiere localizzate nel Mezzogiorno corrispondenti a circa il 20% del costo del lavoro al Nord. Sulle differenze regionali nel costo della vita e sulle conseguenze di differenziali regionali di produttività non compensati da differenze nel costo della vita si veda  Ichino,  Boeri e Moretti (2014 e 2016) . Una proposta del genere era stata formulata da Bodo e  Sestito (1991, pag. 236) “….una politica che ci sembra effettivamente attuabile é quella di fiscalizzare completamente gli oneri sociali nei settori del manifatturiero e del turismo del Mezzogiorno e di creare un differenziale salariale bloccando per un limitato periodo di tempo gli incrementi retributivi legati ai rinnovi contrattali e all’operare della scala mobile per le ree meridionali.”

[4] Utilizzando il modello econometrico della Banca d’Italia, Bodo e  Visco (1987)  avevano trovato che una riduzione delle aliquote degli oneri sociali per l’intero territorio nazionale non avrebbe avuto effetti negativi sulla finanza pubblica a per effetto delle sue influenza positive sul reddito . Gli effetti sulla finanza pubblica di sgravi concentrati sull’industria manifatturiera del Mezzogiorno sarebbero ovviamente molto più favorevoli, considerata la modesta entità di queste attività presenti nel Mezzogiorno in assenza di sgravi e le maggiori opportunità di sviluppo derivanti dal bassissimo tasso di occupazione nel Sud dell’Italia.

[5]Sgravi contributivi per le attività industriali e  artigiane, e, a partire dal 1976, anche alberghiere,  localizzate nel Mezzogiorno erano stati introdotti a partire dal 1968, per compensare gli effetti dell’abolizione delle “gabbie salariali”, che,  collegando le retribuzioni nelle diverse regioni al costo della vita,  comportavano una differenziazione di circa il 20% del costo del lavoro fra Nord e Sud dell’Italia. Secondo Bodo e Sestito (1991, pag. 260) essi aumentarono gradualmente fino a raggiungere circa il 30% delle retribuzioni nel 1982. La Commissione Europea, tuttavia, verso la fine degli anni ottanta aprì una procedura d’infrazione contro l’Italia perchè riteneva gli sgravi per le imprese industriali del Sud distorsivi della concorrenza. La controversia fu chiusa con l’accordo Pagliarini-Mastella-VanMiert del 1994 che condusse ad una graduale eliminazione degli sgravi entro il 1997. Nel 1999 il Governo Dalema  propose di reintrodurre gli sgravi per le imprese industriali del Mezzogiorno, sia pure in forma molto ridotta, ma la proposta fu rigettata anche dal nuovo commissario alla concorrenza  Mario Monti. Gli effetti della eliminazione degli sgravi contributivi per le imprese industriali del Mezzogiorno appaiono evidenti: fra il 2001 e il 2015 il valore aggiunto nel settore manifatturiero diminuì di quasi il 30% nel Mezzogiorno, a fronte di una riduzione del 5% nel Centro-Nord dell’Italia, e di aumenti del 16% per la media dei paesi dell’area euro, del 220% nella repubblica ceca, del 280% in Polonia (Svimez, 2016, pag. 29).

Riferimenti bibliografici

Bodo G., Sestito P. (1991), “Le vie dello sviluppo, dall’analisi del dualismo territoriale una proposta per i Mezzogiorno”, il Mulino, Bologna,1991.

Bodo G., Visco I. (1987),  “La disoccupazione in Italia: un’analisi con il modello econometrico della banca d’Italia“, Banca d’Italia, Contributi all’analisi economica, 1987, n. 3.

Daniele Vittorio (2017), Il ritardo del Sud e le responsabilità della politica, OpenCalabria, 19 gennaio.

Eurostat pressrelease 61/2016 – 1 April 2016, http://ec.europa.eu/eurostat/documents/2995521/7224742/3-01042016-AP-EN.pdf/453419da-91a5-4529-b6fd-708c2a47dc7f

Ichino Andrea, Boeri Tito, Moretti Enrico (2016), “Divari territoriali e contrattazione: quando l’eguale diventa diseguale“, presentato da Andrea Ichino il 5 giugno 2016 al festival dell’economia di Trento.

Ichino Andrea, Boeri Tito, Moretti Enrico (2014), “Housing prices, wage and income differences in Italy”, Fondazione Rodolfo Debenedetti, XVI European Conference, giugno 2014. Slides

Svimez (2016), Rapporto Svimez 2016 sull’economia del Mezzogiorno, Appendice statistica all’introduzione e sintesi, Roma 10 novembre 2016.


 

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