Il problema della programmazione economica in Calabria

Che i concetti di programmazione economica e di politica in Calabria siano dicotomici ce lo insegna la recente storia economica. Negli ultimi 20 anni, a dispetto del crescente ruolo e del crescente sviluppo degli strumenti di programmazione a livello nazionale ed europeo, la Calabria ha completamente abdicato al tentativo di governare i processi economici. La programmazione dei fondi strutturali è stato un facile alibi per abbandonare ogni velleità di dirigere l’economia verso obiettivi ragionati e ragionevoli di crescita. Se consideriamo la pur corposa produzione documentale degli uffici di programmazione calabresi, in gran parte inutile, quando non anche metodologicamente sbagliata, ci accorgiamo come non sia stata prodotta negli ultimi 20 anni alcuna analisi significativa o non sia stato elaborato un qualche ragionato scenario di sviluppo per l’economia regionale.

Le scelte economiche si sono trascinate dietro la copia, in alcuni casi neanche tanto avveduta, di documenti prodotti dalla burocrazia europea e finalizzati alla gestione dei fondi strutturali, pensando che questo potesse essere sostitutivo di una sana programmazione delle risorse ordinarie. Anche se quest’aspetto potrà apparire curioso a molti pseudo-programmatori, le risorse dell’Unione Europe, erogate attraverso i fondi strutturali, devono rispondere al principio dell’addizionalità. Addizionalità significa che devono essere di supporto a programmi ordinari.
E dove mai sono esistiti i programmi ordinari in Calabria?

I Fondi Strutturali sono stati usati per finanziare le infrastrutture che i bilanci ordinari non erano in grado di contenere, ma con vincoli e complessità tali che, di fatto, le maggiori opere sono state condannate ad una migrazione da un ciclo di programmazione all’altro, assomigliando sempre più ad una tela di Penelope. Così facendo si sono salvate le risorse dal disimpegno, dichiarerà quasi soddisfatto qualcuno. Ma questa giustificazione appare sono un flebile foglia di fico perché da un ciclo di programmazione all’altro le risorse sono sempre diminuite e in ogni nuova programmazione una parte consistente delle risorse è servita a (tentare di) completare le incompiute precedenti. Degli scarsi due miliardi di euro del PO FERS 2014-2020 circa 500 milioni servono a completare le opere transitate dalla programmazione 2007-2013. La capacità di spesa complessiva del PO 2017-2013 FERS è stata, con tutte le forzature di rendicontazione finale, circa di un 1 miliardo e 400 milioni di euro che dal 2007 al 2015 fanno circa 200 milioni l’anno. E tutto questo con uno sforzo sovrumano di tutta la macchina regionale.
I fondi strutturali possono aiutare lo sviluppo della Calabria, ma non determinarlo. E questo per tre ordini di motivi. Il primo è che non è questa la loro funzione, il secondo è che ormai si sono ridotti a poca cosa, il terzo è che anche se pochi, la Calabria li spende male. Occorre, quindi, che la Regione si riappropri della sua funzione programmatoria ordinaria, che si individuino risorse attraverso una efficace spending review e che si usi la legge finanziaria regionale come volano di sviluppo.

I bilanci degli ultimi 20 anni sono stati documenti elaborati da una casta di sacerdoti contabili, che custodivano gelosamente i misteri e che dovevano essere approvati così come venivano presentati con un atto di fede cieca, senza alcuna idea di sviluppo e senza alcuna finalizzazione a processi di crescita. E’ mancata quella cosa che della programmazione è il cuore, ossia un’idea strategica della Calabria e degli obiettivi che si volevano raggiungere. Per recuperare il tempo perso è il momento di avviare a livello regionale una grande riflessione strategica sugli obiettivi da raggiungere da qui al 2020 e al 2050 che si traduca poi in un Masterplan in grado di ridare speranza alla Calabria. Se si vuole avere successo in questa iniziativa occorre coinvolgere in questo sforzo tutte le intelligenze e tutte le risorse della Calabria per progettare realmente il futuro e non riempire solo pile di inutili e vuoti documenti di programmazione che ontologicamente sarebbero più utili come carta da riciclo.

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