Pubblica Amministrazione: nove leve per avviare un cambiamento

Il nuovo ministro della Funzione Pubblica Avv. Bongiorno ha indicato alcune linee della sua azione di governo che intende sviluppare attraverso interventi mirati, “chirurgici”, sulla normativa attuale.

All’inizio di ogni legislatura si è sempre fatto riferimento all’esigenza di rivedere il funzionamento della macchina burocratico-amministrativa delle Amministrazioni pubbliche ed è forse la prima volta che rispetto a questa esigenza si parla di interventi mirati finalizzati a far funzionare meglio le norme attualmente vigenti attraverso il corretto utilizzo delle leve, almeno in parte, già disponibili. La verità è che si tratta di leve che gli organi politici, in passato, non hanno avuto interesse ad attivare, mentre le strutture burocratiche dell’Ente ne preferiscono un utilizzo “difensivo” che significa molto spesso “arrendersi alle criticità” e scaricare le responsabilità su altri; conseguentemente ognuno risponde del piccolo tassello di competenze e non dei risultati. Per cui una prestazione diviene eccellente perché si sono espletate le attività di propria competenza e non perché si sono raggiungi i risultati cui la prestazione mirava. Ma per intercettare le prestazioni inadeguate occorre saperle riconoscere così come per premiare le eccellenze occorre che queste siano tali e coerenti con la performance generale dell’Amministrazione.

Uno dei nodi, solo apparentemente insolubili, è il fatto che le strutture burocratico-amministrative sostengono spesso che manca la volontà politica e gli organi politici si lamentano della scarsa qualità del personale, in una sorta di circolo vizioso che sembra privo di una via d’uscita. Prima ancora di puntare a modifiche normative, che pure sono necessarie, proviamo a fornire, a legislazione vigente, alcuni spunti sui quali immediatamente sarebbe possibile operare:

  1. I sistemi valutativi del personale e delle organizzazioni non sono ancora sufficientemente indipendenti e autonomi dalle logiche interne; e il condizionamento rispetto a queste logiche consente ad ogni amministrazione di definire il proprio sistema valutativo in modo completamente autonomo; insomma ognuno fa come vuole giustificandosi con il rispetto delle norme di principio. Oggi siamo in un contesto di armonizzazione contabile per cui tutti i bilanci degli enti hanno la medesima struttura anche se i numeri sono diversi. Allora perché non puntare all’armonizzazione anche dei sistemi valutativi per renderli confrontabili ed evitare che la valutazione del personale in un Ente segua uno schema valutativo completamente diverso da un altro?
  2. Attenzione questo non significa standardizzare gli obiettivi ma significa solo definire uno schema valutativo uniforme. Per esempio la coerenza tra la performance dell’Amministrazione nel suo complesso, la performance delle singole unità organizzative e la performance individuale è ancora molto debole. Occorre fornire una definizione chiara, certa, stabile nel tempo dei diversi livelli di performance e del legame che deve esistere tra di loro. Non è più possibile che ogni amministrazione dia una definizione e declini i livelli di performance e la loro reciproca influenza in modo assolutamente autonomo. La conseguenza di ciò è che assistiamo ad Enti in cui le performance negative dell’amministrazione nel suo complesso non determinano alcuna influenza sulle valutazioni individuali e dove dietro il paravento del contributo individuale si nasconde una modalità che tende a disconoscere i trend e i risultati negativi.
  3. Una regola di buon senso richiederebbe che rispetto a pochi e significativi indicatori chiave (scelti, questi sì, autonomamente e internamente dall’Amministrazione previa validazione da parte di organismi di valutazione indipendenti) che riguardano l’amministrazione nel suo complesso, gli eventuali risultati negativi al di sotto di una certa soglia impediscano in radice la possibilità di pervenire a risultati individuali eccellenti. Non è difficile, l’attuale assetto normativo lo consentirebbe, ma i sistemi delle singole amministrazioni non lo recepiscono adeguatamente; si tratta di attuare una regola di buon senso che permea la vita di ogni comunità: se la comunità nel suo complesso produce dei risultati (negativi o positivi) non è ipotizzabile che i risultati individuali siano complessivamente in contrasto con questi risultati o che non ne siano influenzati. Perché non esercitare i compiti assegnati dalla legge al Dipartimento della Funzione pubblica per indirizzare le Amministrazioni in questa direzione?
  4. La “valutazione difensiva” rientra nella patologia dei sistemi valutativi: quella cioè per cui la valutazione è un adempimento formale che si fa per permettere l’attivazione dei meccanismi premiali che di fatto sono considerati parte integrante della remunerazione della prestazione lavorativa. Occorre rompere questo legame e utilizzare poche regole semplici: 1) gli obiettivi devono essere credibili e per esserlo devono essere definiti, con il concorso di tutti livelli, politici e amministrativi, da strutture indipendenti e autorevoli con lo scopo di determinare un effettivo stimolo al miglioramento in relazione alle specifiche situazioni di contesto; 2) gli obiettivi devono essere misurati attraverso sistemi certi, stabili, riproducibili e non attraverso mere dichiarazioni delle strutture interessate. Da queste regole discende una conseguenza radicale: laddove non sia possibile individuare obiettivi di questa portata occorre prendere atto che non esistono le condizioni per valutare le relative prestazioni e, quindi, occorre “saltare un giro”.
  5. Occorre rompere il meccanismo perverso in base al quale una volta assegnati gli obiettivi di performance la prestazione lavorativa viene concentrata solo su ciò che da diritto alla premialità, tralasciando il presidio dei processi o delle specifiche attività non correlate ai risultati di performance. Va ribadito che la retribuzione si compone di due parti; una parte, legata al ruolo e alla posizione ricoperta nell’organizzazione, è funzionale a remunerare la prestazione lavorativa, per cui eventuali limiti e criticità devono essere intercettati ed essere rilevanti anche ai fini della carriera o per il conferimento di incarichi. Una seconda parte, distinta dalla prima e solo eventuale, deve essere legata ai risultati  di performance organizzativa e individuale. Qui una piccola modifica normativa forse aiuterebbe.
  6. Occorre pensare a sistemi dinamici di assegnazione e monitoraggio degli obiettivi in linea con la flessibilità richiesta alle moderne organizzazioni. Ancora oggi si opera con organizzazioni di tipo gerarchico, staticamente strutturate all’interno di un assetto organizzativo che non è in grado di combinare al meglio le competenze interne. Quante volte ci si trova di fronte all’esigenza di costituire task force per affrontare delle criticità e poi però la partecipazione a quella task force sfugge al sistema valutativo?
  7. Non è più possibile assistere a valutazioni basate su obiettivi misurati attraverso il numero di riunioni o il numero di giornate formative o per avere predisposto delle bozze di capitolati o di atti amministrativi. Insomma non sono pochi i casi in cui ci troviamo di fronte ad Amministrazioni che anziché operare nella direzione di risultati tangibili, credibili e comprensibili agli interlocutori esterni, si misurano esclusivamente con gli adempimenti burocratici, per cui il contributo al raggiungimento degli obiettivi è ancorato al perimetro delle proprie competenze e non con riferimento al risultato finale che invece dovrebbe essere l’unico parametro di riferimento certo e del cui perseguimento tutte le strutture coinvolte dovrebbe essere responsabili. E allora è necessario che queste anomalie vengano intercettate tempestivamente e per farlo è opportuno che il ruolo degli organismi di valutazione indipendenti venga rafforzato e non venga inteso come meramente adempimentale o ispettivo.
  8. Gli organismi di valutazione indipendenti possono e devono svolgere un ruolo chiave nel supporto allo sviluppo di organizzazioni flessibili e più coerenti con le mutate esigenze di rendicontazione e ancor prima di definizione degli obiettivi. Gli stimoli e le sollecitazioni provenienti da tali organismi devono essere visti come una opportunità per le amministrazioni, proprio perché si tratta di un punto di vista che va oltre i recinti delle amministrazioni ed esprimono una percezione indipendente e terza rispetto agli attori coinvolti nei processi valutativi. Ciò implica la necessità di superare la logica meramente ispettiva, che pure traspare in parte dall’assetto normativo vigente, per favorirne il ruolo di supporto, stimolo e accompagnamento ai processi di miglioramento delle amministrazioni. Occorre, quindi, puntare sulla crescita di una comunità professionale di valutatori, altamente specializzata e con competenze multidisciplinari, per evitare che il sistema valutativo sia esposto al rischio di depotenziamento rispetto alle finalità che l’ordinamento gli conferisce,

L’indipendenza e l’autonomia degli organismi di valutazione deve essere garantita anche assicurando strutture adeguate di supporto multidisciplinari che siano sganciate da vincoli funzionali e gerarchici con le strutture interne dell’amministrazione, che rischiano di determinarne un forte condizionamento operativo. E per i piccoli comuni puntare, proprio per mantenere alto il livello professionale, sulla gestione associata del servizio.

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