Una ripresa anemica
La Calabria è stata solo marginalmente interessata dalla debole ripresa registrata lo scorso anno in Italia. È quanto emerge dal Rapporto sull’economia della Calabria, presentato dalla Banca d’Italia di Catanzaro. Nel 2015, l’attività economica regionale è rimasta sostanzialmente stabile: il Pil è aumentato solo dello 0,1 per cento, mentre in Italia la crescita è stata superiore (+0,8%). In tutti i settori economici calabresi gli andamenti sono stati inferiori a quelli nazionali e, in particolare, a quelli delle regioni del Nord.
È bene ricordare che, negli anni passati, la Calabria ha subito una forte contrazione dell’attività economica. Dal 2007 al 2014, il Pil pro capite è diminuito, complessivamente, del 12 per cento ritornando, in termini reali, al livello del 1998. Una dinamica non dissimile da quella di altre regioni meridionali. Se la ripresa dovesse mantenersi a lungo così debole, per ritornare ai livelli precedenti la crisi non basterebbe un decennio. La debolezza dell’economia regionale è evidente quando si guarda all’occupazione che, l’anno scorso, è ulteriormente diminuita. L’occupazione rimane ai minimi, in particolare nella fascia giovanile, tra i 25 e i 34 anni. In Calabria, il tasso di disoccupazione si è attestato al 22,9 per cento, a fronte dell’11,9 medio nazionale. Secondo le rilevazioni, nel 2015, la quota di giovani calabresi (15-34 anni) che non lavorano, non studiano e non seguono un percorso formativo (Neet) è stata pari al 43 per cento. Un valore cresciuto significativamente negli ultimi anni (era il 32,6 per cento nel 2007), anche in relazione al forte calo delle immatricolazioni universitarie registrato nella regione. Dati preoccupanti, perché certificano come in Calabria, e nell’intero Mezzogiorno, vi sia una “generazione perduta”, di giovani istruiti ma disoccupati, sottoccupati o che hanno rinunciato a formarsi o a cercare un lavoro (o con lavori “in nero” o irregolari). Un problema che oggi grava sulle famiglie ma che, in un futuro non lontano, diverrà, per la sua dimensione, un problema sociale ed economico rilevante.
Negli ultimi anni, le condizioni economiche delle famiglie calabresi sono peggiorate. Nel 2014, il reddito disponibile per abitante è stato di 12.300 euro (17.500 euro in Italia): un divario notevole. Divario che risulta ancor più netto quando si guardano i dati sulla povertà e sul disagio sociale. Secondo la definizione europea, nel 2014, le persone povere o socialmente escluse erano pari, in Calabria, al 43,5 per cento della popolazione, a fronte del 28 per cento medio nazionale.
I nodi strutturali e i ritardi delle politiche
I timidi segnali di ripresa, rilevati dai ricercatori della Banca d’Italia, vanno considerati nel quadro di difficoltà strutturali che caratterizzano l’economia regionale. Un’economia in ritardo, dalla base produttiva gracile e che, perciò, stenta a creare nuova occupazione. Quella calabrese è un’economia basata sui servizi e largamente dipendente dal settore pubblico. Nella regione, il settore terziario contribuisce per l’83 per cento al valore aggiunto regionale. Nelle regioni più sviluppate, per esempio nel Nord-Est, la quota non supera il 70 per cento. Dopo il Lazio, la Calabria è la regione italiana con maggiore incidenza del terziario nella struttura produttiva.
I servizi assorbono una parte significativa della forza lavoro calabrese che non trova impiego in altri settori. Spesso si tratta di comparti a bassa produttività. Lo dimostra il fatto che, in Calabria, i servizi pubblici e quelli alle famiglie contribuiscono per ben il 32 per cento al valore aggiunto prodotto. Una quota notevole, 11 punti più alta della media nazionale. Il grande peso dei servizi, in particolare di quelli pubblici, è l’altra faccia del gracile sviluppo industriale. In Calabria solo il 7 per cento del valore aggiunto proviene dall’industria. In Emilia e Veneto, l’industria produce un quarto del valore aggiunto totale. In sintesi, quella calabrese è un’economia di redistribuzione più che di produzione. È questo il tratto peculiare, caratteristico dello sviluppo economico regionale e che, perciò, andrebbe sempre tenuto presente quando si discute degli andamenti economici ed occupazionali.
Ritardi strutturali che le politiche pubbliche non riescono a recuperare. Emblematico il caso del Porto di Gioia Tauro che, negli ultimi anni, ha perso terreno rispetto ad altri porti mediterranei. L’anno scorso, a Gioia Tauro, il traffico di container è diminuito del 14 per cento. Mentre altri porti mediterranei sono diventati più competitivi, attraendo investimenti, quello di Gioia Tauro non innesca processi di sviluppo locale, rimane svantaggiato in termini di collegamenti con le reti infrastrutturali e, come l’intera regione, sconta la perifericità geografica rispetto ai grandi mercati nazionali ed europei. Il rapporto della Banca d’Italia, fotografando gli andamenti più recenti dell’economia calabrese, mostra come la grande recessione sia finita, ma anche come la ripresa in Calabria sia estremamente debole. Ma, a pensarci, è l’Italia nel suo complesso a crescere poco. In un paese disuguale, che procede a due velocità, i divari regionali difficilmente potranno essere colmati.