Dal sondaggio nazionale promosso dall’Associazione Nazionale Docenti, presieduta dal Prof. Francesco Greco, e realizzato in collaborazione con Open Calabria, il think tank indipendente coordinato dal Prof. Francesco Aiello, ordinario di Politica Economica dell’Unical, l’85% dei docenti dice no ad aperture parziali, con frequenza degli studenti a giorni alterni.
A settembre riapriranno le scuole, anzi no, forse sì, forse a giorni alterni e poi tanta didattica a distanza. Mai si era vista tanta confusione e incertezza che investe ogni ambito della scuola, dagli esami di Stato ai concorsi, a come organizzare la ripresa delle attività didattiche per il prossimo anno scolastico. Si potrebbe dire che i responsabili delle politiche per la scuola stanno dando il meglio di sé per la confusione e lo scoraggiamento che alimentano. I docenti, al contrario, hanno le idee chiare e il loro pensiero lo hanno cristallizzato nel sondaggio nazionale sulla didattica a distanza (DAD) e sull’esame di Stato promosso dall’Associazione Nazionale Docenti e realizzato in collaborazione con Open Calabria.
Una prima valutazione dei dati si è focalizzata sull’esame di Stato ed ha evidenziato come la gran parte dei docenti, ben oltre il 70%, sia contraria ad un esame di Stato in presenza, per l’ovvia preoccupazione della possibilità di contagi da covid-19. Il sondaggio ha, altresì, indagato molte altre questioni legate alla Didattica a Distanza (DaD). In particolare, ai docenti è stato chiesto com’è stata organizzata la DaD in piena crisi Covid, quali sono le sue potenzialità, il grado di partecipazione degli studenti e il contributo al processo di apprendimento. Una sezione del questionario è dedicata all’organizzazione della didattica per il nuovo anno scolastico.
Nuovo anno scolastico in modalità blended? No, grazie!
Il sondaggio ha registrato un forte dissenso (85%) verso la proposta di un’alternanza settimanale dell’attività didattica in presenza con quella a distanza (metà classe segue la lezione in presenza l’altra a distanza, per poi alternare la settimana successiva). Un dato che sicuramente non esprime solo una legittima aspettativa di normalità, ovvero di voler superare la dura e triste condizione determinata dalla pandemia, ma anche una chiara valutazione del fallimento pedagogico della DAD. Di fatto, alla domanda se “Ritieni che questa nuova modalità di insegnamento (DAD) potrà continuare ad essere adottata anche dopo la fase dell’emergenza sanitaria”, solo il 26% ha risposto affermativamente, mentre il 74% dei docenti dichiara che è necessario abbandonare la DAD.
Programmi svolti solo parzialmente
Dall’indagine emerge, inoltre, un altro dato allarmante: solo il 10,4% dei docenti ha svolto tutti gli argomenti dei programmi, mentre nella stragrande maggioranza dei casi il programma è stato svolto solo parzialmente. D’altronde, sarebbe difficile svolgere il programma se mediamente solo il 68% degli studenti ha un dispositivo per seguire le lezioni. È evidente che la didattica a distanza non solo assorbe molto più tempo per preparare e svolgere le lezioni, ma impegna gli studenti molto più a lungo rispetto alle tradizionali lezioni in presenza. Di tutto ciò ne risente, sicuramente, lo svolgimento dei programmi che richiede molto più tempo, tant’è che, esclusi limitati esempi di successo, quasi nessuno è in linea con gli argomenti programmati e, ovunque, si registrano sostanziali e, in alcuni casi, macroscopici ritardi.
I diritti negati agli studenti BES
È uno scenario che si aggrava ulteriormente in presenza di studenti certificati BES. Ben il 72,4% dei docenti insegna in classi che includono studenti BES. Nel 54,9% di queste classi è stata operata una semplificazione/riduzione dei materiali di studio, mentre nel 30,4% è stato predisposto materiale specifico per gli studenti BES. Nel 14,7% delle classi è stata utilizzata per tutti gli studenti la stessa metodologia didattica. Qui emerge un’oggettiva difficoltà nell’organizzare un’attività didattica che richiede strumenti tecnologici coerenti con le condizioni degli studenti BES e specifiche competenze per il loro uso. Di fatto, a questi studenti potrebbe essere stato negato il diritto all’istruzione.
La partecipazione alle lezioni non è stata sempre registrata
La totalità dei docenti (99,05%) per collegarsi ad Internet e poter svolgere l’attività didattica ha utilizzato connessioni private con costi a loro carico. Il 78,4 % dei docenti è ricorso alle video-lezioni, mentre il 21,6% si è limitato a condividere documenti. Per comunicare con gli studenti solo il 62% ha utilizzato il servizio di messaggistica delle piattaforme. Gli altri hanno utilizzato WhatsApp o il telefono. La partecipazione degli studenti alla DAD non è stata registrata nella gran parte delle scuole (41,5%), mentre nel 31% dei casi si è utilizzato il registro elettronico (31%). Il 27,5% dei docenti ha registrato la partecipazione alle lezioni nelle forme più disparate e non formali.
Scuola Digitale? Si, a parole
Tra gli strumenti utilizzati nelle attività della DaD, il Pc è stato quello prevalente (70,6%), a seguire lo smartphone, il Laptop/Portatile e, infine, il tablet. Il sondaggio ha rilevato che solo il 15,7% delle scuole ha una propria piattaforma, mentre ben il 58% utilizza Google Suite for Education, il 10,8% Weschool, il resto vari altri applicativi e solo il 2% ricorre a software open source come Moodle. Si tratta di elementi significativi che dovrebbero sollevare tanti interrogativi che investono direttamente il Piano Nazionale Scuola Digitale e l’utilizzo delle ingenti risorse che questo piano ha mobilitato.
Le proposte dell’Associazione Nazionale Docenti
“I dati che emergono dal sondaggio fanno ben capire – afferma il prof. Francesco Greco, presidente dell’Associazione Nazionale Docenti- in quali condizioni si è svolta la DAD e rendono evidente la necessità di riportare al più presto la didattica nella scuola.” “La scuola italiana – prosegue Greco- si trova di fronte ad un momento storico irripetibile, in cui il dramma della pandemia può permetterle di abbattere muri altrimenti invalicabili, eretti da politiche scellerate che hanno chiuso la scuola italiana in una condizione di irrilevanza sociale e culturale, sottraendole negli anni sempre più risorse, come non è stato fatto in nessun altro Paese europeo. Solo scelte politiche lungimiranti possono cambiare questa condizione, ma occorre una guida sicura e forte, perché forti devono essere le decisioni. Per la nostra scuola occorre un piano finanziario straordinario che, tra l’altro, possa consentire (a) la riduzione del rapporto alunni/classe, sia per le note ragioni sanitarie e sia per assicurare una didattica di qualità, impossibile in classi pollaio; (b) di disporre di strutture ed infrastrutture tecnologiche e spazi adeguati ad una scuola aperta e vivibile; (c) un piano di assunzioni basate sul merito che ponga fine al precariato nella scuola, prevedendo come unico canale di accesso all’insegnamento i concorsi pubblici, secondo il dettato costituzionale; (d) un sistema di governo democratico della scuola e la valorizzazione del ruolo e della funzione degli insegnanti, oltre ad un efficace sistema di garanzia della libertà di insegnamento.”
“Intanto, da settembre, – conclude Greco- salvo “ritorni di fiamma virali”, senza alimentare altre incertezze, si riaprano le scuole! Si riduca il rapporto alunni/classe, si facciano doppi turni, si riaprano le scuole chiuse per le restrizioni numeriche imposte dai tagli Tremonti/Gelmini del 2008 e dagli assurdi piani di dimensionamento e, naturalmente, si assuma con criteri meritocratici il personale necessario. La scuola deve riaprire, in sicurezza e con le risorse necessarie. Vogliamo augurarci che questo governo non disattenda le legittime aspettative di studenti e docenti che in questi mesi hanno condiviso, più che in tanti anni, la mancanza di quella straordinaria dimensione sociale dello “stare a scuola” che non potrà mai essere replicata in nessun contesto virtuale”.