La crescita del terzo settore in Italia è l’esito del concomitante verificarsi di almeno due fenomeni. In primo luogo, la domanda di servizi sociali sta assumendo connotati mai registrati in passato. Basti pensare ai disagi di chi vive in condizioni di povertà, dei malati, degli anziani e, non da ultimo, degli immigrati. Si tratta di ampie fasce di popolazione che chiedono assistenza di variegata natura che, in condizioni normali, è prevalentemente offerta dal settore pubblico. Il secondo motivo che spiega il fermento del terzo settore è legato alla crisi del welfare sociale, ossia dipende dal fallimento dello Stato di far fronte alla domanda di servizi sociali.
In tali circostanze, è atteso che il terzo settore svolga un’importante funzione suppletiva, che si autoalimenta al crescere dei disagi sociali. Si stima che nel 2009 in Italia l’economia sociale ha generato ricchezza pari a circa 300 miliardi di Euro, equivalenti a circa il 10,2% del PIL nazionale. In termini occupazionali, il peso del settore non profit è stato pari al 6,8% dell’occupazione nazionale del 2001, mentre nel 2011 questa quota è dell’8,5%.
Questi numeri segnalano che il terzo settore ha perso la sua connotazione di settore residuale: prima esiste il pubblico, poi il privato e, per esclusione, si identifica il terzo settore come l’insieme delle attività non altrimenti qualificate. Oltre alle motivazioni tipiche di chi opera nel non profit, oggi, invece, il terzo settore è percepito come un insieme di attività in grado di garantire adeguati livelli occupazionali remunerati a prezzi equi.
Alcuni dati relativi alla Calabria. L’analisi del terzo settore in Calabria restituisce un quadro pieno di ombre, poiché i livelli di domanda non soddisfatta sono elevatissimi. Su base regionale, nel 2011 in Calabria erano attive 9034 imprese e istituzioni che svolgevano attività a contenuto sociale (2,5% del dato nazionale), occupando 15671 addetti (l’1,6% del dato nazionale). Si tratta di valori bassi rispetto a quelli delle altre regioni, poiché equivalgono a 8 occupati e 4,6 imprese ogni mille abitanti, mentre i dati nazionali sono pari a 17 addetti e 6 imprese, rispettivamente, con picchi, per esempio, di 20 addetti e più per mille abitanti in Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Lazio. Esiste, quindi, in media una bassissima correlazione tra la distribuzione spaziale del settore non profit e i disagi sociali. Per comprendere quanto sia enorme la discrepanza tra offerta e domanda di servizi sociali, è sufficiente guardare ai dati della povertà relativa che, in Calabria, interessa circa un terzo dei residenti. Analoga conclusione si ottiene se si fa riferimento alla bassa quota di anziani trattati in assistenza domiciliare socio-assistenziale, che nel 2013 sono lo 0,8% in Calabria e l’1,2% in Italia (con una quota massima di 4,8% in Trentino).
Come colmare questo eccesso di domanda di servizi socio-assistenziali? Un modo per attenuare i disagi è di stimolare il dinamismo di chi offre servizi sociali e, quindi, la prima implicazione è di avere una rete potenziata di imprese non profit. È evidente che in Calabria esiste spazio per svolgere attività a contenuto sociale, che possono far leva anche sull’inserimento delle organizzazioni di volontariato nei circuiti strutturati di offerta di servizi. La seconda considerazione è di affinare sempre di più la ricerca dei fabbisogni al fine di poter fornire risposte, adeguate e di qualità, a chi vive il disagio. In tale prospettiva, qualche risposta arriva dalla Regione Calabria, la quale nell’estate del 2017, ossia dopo ben 17 anni dell’approvazione della legge nazionale 328/2000, ha trasferito ai comuni la competenza delle politiche sociali. È una cosa buona perché i comuni saranno chiamati a redigere i Piani di Zona, sfruttando la migliore informazione che detengono sui residenti. Tuttavia, l’esito di questa riforma dipenderà dalla capacità dei comuni calabresi di indirizzare le risorse finanziarie e gli sforzi organizzativi a supporto di chi realmente esprime un bisogno. Il successo o l’insuccesso sarà anche legato alla qualità delle relazioni Regione-Comuni in tema di co-progettazione delle attività e della tempistica dell’erogazione dei finanziamenti degli interventi a forte connotazione sociale.
Questo contributo è stato pubblicato sul Quotidiano del Sud (Edizione del 22 Novembre 2017). Riprende alcuni dei contenuti discussi in occasione del Convegno “Economia e Terzo Settore“