Qualche giorno fa, l’Istat ha pubblicato i dati definitivi del 2014 relativi ai conti economici territoriali. L’occasione consente di fare un bilancio dell’andamento dell’economia regionale utilizzando informazione certa, piuttosto che previsioni (1).
L’analisi dei dati Per gli anni della recente crisi 2007-2014, i dati segnalano due importanti fatti. Da una lato, il declino ha assunto una preoccupante dimensione in tutto il paese: in sette anni il valore aggiunto nazionale è diminuito dell’8,2%. Dall’altro lato, si osserva che i divari tra le diverse aree sono aumentati: nello stesso periodo il valore aggiunto del Mezzogiorno diminuisce dell’11,3%, alimentando, in tal modo la natura dualistica dell’economia italiana. La Calabria, registrando una riduzione del 13,6% della ricchezza regionale, fa peggio di tutte le altre aree del paese, confermando di essersi ormai collocata in una trappola della povertà che, in assenza di shock strutturali rilevanti, la collocherà in un inesorabile equilibrio di sottosviluppo. L’analisi puntuale dei dati annuali mostra che l’esito medio del periodo 2007-2014 è dipendente dal crollo del valore aggiunto registratosi nel 2009, 2012 e nel 2013. Da notare come rispetto al 2013, nel 2014 la Calabria abbia registrato un incremento del valore aggiunto regionale dell’0,2%, che è in controtendenza rispetto al resto del paese e che tecnicamente è assimilabile più ad un timido rimbalzo rispetto alle perdite registrate nel biennio 2012-2013, piuttosto che ad un’inversione di tendenza del proprio sentiero di (de)crescita.
Ulteriori dettagli si ottengono dalla composizione del valore aggiunto. Si tratta di informazione ben nota e già discussa, ma appare utile sintetizzarla anche in questa sede. Il primo risultato che merita un commento è che si ha conferma della terziarizzazione dell’economia calabrese: nel 2014 in Calabria i servizi assorbono l’82% del valore aggiunto, che è una quota otto punti percentuale maggiore del dato nazionale. Nell’ambito dei servizi, la quota della pubblica amministrazione e dei servizi per le famiglie è dominante (32% in Calabria, 21% in Italia). Il peso dell’industria in senso stretto si è ridotto ulteriormente (7% in Calabria, 19% in Italia), mentre il peso dell’agricoltura rimane maggiore (5% in Calabria, 2% in Italia). Infine, la crisi coincide con il crollo del settore delle costruzioni: a fine periodo in Calabria il peso delle costruzioni si è allineato a quello rilevato in Italia (circa il 5%). Con riferimento infine alle variazioni registrate nel periodo 2007-2014, osserviamo come in Calabria tutti i comparti abbiano subito un calo superiore rispetto alla media nazionale, con l’eccezione della macro-branca che include commercio, alberghi, ristorazione e trasporti. Tra i settori di specializzazione dell’economia calabrese, spiccano in particolare i cali nell’agricoltura (‑15%) e nella macro-settore che include la pubblica amministrazione e i servizi per le famiglie (-12%): in entrambi i casi, la contrazione risulta nettamente superiore rispetto a quella osservata in Italia.
Qualche implicazione di politica economica Sebbene le origini di questo stato di cose siano il risultato di molte scelte fatte in passato, è indubbio che questo scenario macroeconomico desta molte preoccupazioni. Le possibili aree di intervento investono diverse dimensioni del sottosviluppo regionale, alcune delle quali – per esempio l’azione d’urto a sostegno dell’innovazione – sono state già proposte come misure di politica economica su cui il governo nazionale e la Regione Calabria dovrebbero puntare in via prioritaria.
D’altra parte il disagio in cui oggi versa la regione stimola continue riflessioni. Per esempio, per affrontarlo e risolverlo sono necessari molti cambiamenti nelle strategie e nei comportamenti degli agenti privati e pubblici. In questa sede, focalizziamo l’attenzione su questi ultimi. Semplificando il ragionamento possiamo dire che una strategia pubblica è efficace quando si verificano due condizioni. Da un lato è necessario disporre di risorse finanziare per attuare gli interventi. Dall’altro lato è necessario garantire un uso efficiente di queste risorse (laddove per efficienza si intende l’intera filiera relativa alla progettazione, programmazione e attuazione delle politiche). Con risorse scarse si può fare ben poco. Con risorse abbondanti si fa altrettanto poco se non se ne fa buon uso.
Sulla disponibilità di denaro l’esperienza di questi anni di crisi (2007-2014) ci restituisce un quadro di riferimento in cui la Regione Calabria non è riuscita, perfino, a spendere le risorse finanziarie inizialmente programmate in sede di approvazione del POR 2007-2013: tra rimodulazione del programma, mancata spesa e migrazione su altri progetti, il ciclo di programmazione 2007-2013 non può che essere considerato un’esperienza fallimentare anche guardando soltanto alla capacità di gestione della spesa da parte della Regione Calabria. Questa semplice osservazione sembra indicare che se qualcosa non si è fatto ciò non è dipeso dalla mancanza di finanza. Almeno per quel che riguarda le risorse comunitarie.
Evidentemente qualcosa non ha funzionato nella gestione del programma. I motivi che ne hanno potuto condizionare l’attuazione sono moltissimi. Citiamone qualcuno. Per esempio, qualcuno potrebbe pensare che il contesto macroeconomico è diverso da quello che gli estensori del programma avevano immaginato in sede di scrittura del piano. Altri potrebbero sostenere che il piano era troppo complesso. Rigido. Troppo articolato. Imbrigliava la macchina tecno-burocratica in processi attuativi e regolamentazioni complesse anche per interventi di basso impatto. Qualcun altro potrebbe argomentare che il 2007-2014 è stato un periodo di instabilità politica dei governi regionali, con diverse alternanze e vari vicissitudini degli esecutivi regionali. Altri ancora potrebbero affermare che l’attuazione delle politiche di coesione dell’UE richiede standard di funzionamento delle burocrazie della periferia che non si riscontriamo nell’esperienza del caso Calabrese. Alcune di queste ragioni hanno perso il loro peso, altre permangono. Partendo da queste premesse, cerchiamo di capire cosa potrebbe succedere nei prossimi 4-5 anni.
A livello di politiche di sviluppo locale, la Calabria potrà contare sulla dotazione certa di circa 2,4 MLD di Euro proveniente dal POR 2014-2020. Questo garantisce il soddisfacimento di una condizione (la disponibilità di risorse) che è necessaria per avere politiche efficaci. Avremo i soldi per fare. Quindi, l’attenzione si sposta sulla seconda condizione, che riguarda le fasi di implementazione. A riguardo, i fatti accaduti nel periodo 2007-2014 devono essere tenuti in debita considerazione al fine di massimizzare la futura azione: la crisi è un evento difficilmente ripetibile (almeno in quelle dimensioni); il governo Oliverio sembra essere politicamente stabile per arrivare a fine mandato con regolarità di impegno nelle definizione delle linee di intervento. Pertanto, quello su cui bisogna agire riguarda l’insieme delle dimensioni di intervento che possono essere controllate da parte della tecno-burocrazia legata al POR. Se in passato qualcuno argomentava sul cattivo funzionamento della burocrazia regionale, oggi quell’osservazione deve essere capitalizzata affinché ne vengano rimosse le cause originarie. Si tratta di un elemento su cui sarebbe interessante indagare in modo più approfondito. Ciò è importante non solo per mera curiosità conoscitiva, ma soprattutto perché in assenza di un recupero di efficienza del funzionamento dell’apparato burocratico della Regione Calabria, quello che osserveremo a fine ciclo 2014-2020 sarà un risultato fortemente inferiore rispetto a quello atteso. Questo si verificherà anche in presenza di nuove risorse finanziare, di un quadro macroeconomico più stabile di prima e di stabilità politico-istituzionale. D’altra parte, qualcosa dovrà necessariamente cambiare perché la nuova programmazione si basa su una strategia – la famosissima strategia delle 3S Smart Specialiation Strategy – che stravolge il modo con cui le politiche debbano essere attuate. Poiché la 3S si basa su un’idea di sviluppo che non è lineare, ma circolare (i vincoli allo sviluppo non sono ben identificabili in pochi elementi, ma sono l’esito di complesse relazioni tra fattori interconnessi), allora l’attuazione delle politiche dovrà sfruttare le complementarietà tra i vari Obiettivi Tematici (OT) e dovrà seguire un processo ben coordinato tra i vari soggetti attuatori dei diversi OT. In altre parole, è ormai cosa ben nota anche nei Dipartimenti regionali che per funzionare bene così come si sta dicendo in questi giorni, la 3S dovrà necessariamente far leva su una burocrazia regionale che dovrà essere flessibile, veloce e coordinata in ogni fase del processo di attuazione delle singole azioni. Questa è la premessa per rendere la strategia 3S efficace e, quindi, per creare le pre-condizioni di un buon uso delle risorse del nuovo POR Calabria.
In conclusione di questa nota, si può dire che accanto a molte discussioni e tavole rotonde sulla quantità di risorse disponibili nel ciclo 2014-2020, sarebbe molto importante capire cosa sta facendo il Governo Oliverio per ridurre la distanza tra l’efficienza della burocrazia regionale che abbiamo finora osservato e quella che è imposta dalle nuove regole comunitarie in applicazione della strategia delle 3S. A tale fine, il Piano di Rafforzamento dell’Amministrazione (PRA) diventa cruciale almeno da due punti di vista. Da un lato, è da intendere come strumento per valorizzare e potenziare le competenze delle risorse umane e per introdurre innovazioni gestionali finalizzate a ridurre (auspicabilmente) i tempi di lavorazione delle procedure. E’ ragionevole pensare che il PRA sia formalmente pensato per conseguire questi obiettivi. Dall’altro lato, il PRA deve essere considerato anche (se non soprattutto) come momento per annullare le rendite da posizione delle strutture apicali della PorTecnoBurocrazia regionale. Si tratta di rendite acquisite in anni di attivismo nella gestione meramente formale della regolamentazione comunitaria che assegnano un vantaggio consolidato (su come fare, cosa fare e quando fare) ai PorTecnoBurocrati rispetto agli organi di governo. Nella misura in cui la funzione obiettivo della PorTecnoBurocrazia è distante da una condivisa idea di crescita generalizzata, queste rendite di posizione potrebbero rappresentare un’importante causa di fallimento delle politiche di sviluppo locale da attuare nei prossimi anni. L’obiettivo di dissipare queste rendite deve entrare, quindi, con prepotenza nell’agenda delle cose che il Governo Oliverio si appresta a fare.
(1): Una versione ridotta di questo contributo è stata pubblicata con il titolo “Come uscire dalla trappola della povertà” sulla prima pagina – con rimando a pagina 45 – del “Il Quotidiano della Calabria” del 2 Dicembre 2015.