Sviluppo regionale, a che punto è la spesa dei fondi europei?

Questa nota descrive lo stato di avanzamento della spesa comunitaria dei programmi gestiti dalle regioni italiane nel ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020. L’esito di questa verifica è che le regioni stanno spendendo quanto hanno programmato di spendere ad inizio ciclo e, quindi, è empiricamente infondata la percezione che l’Italia non riceve risorse dall’UE a causa della gestione della spesa delle regioni. Le indicazioni fornite dagli ultimi dati disponibili vanno in tutt’altra direzione. Tuttavia, rimane da affrontare il tema più delicato legato alla valutazione della spesa: si dovrebbero già avere valutazioni di impatto delle politiche avviate al fine di meglio calibrare la programmazione post-2020. 

Se si considerano esclusivamente i programmi di sviluppo regionali (e non anche quelli nazionali) a valere sul Fondo Sociale Europeo (FSE) e sul Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), l’ammontare totale di risorse che le regioni italiane dispongono nel ciclo di programmazione 2014-2020 è pari a 35,5 MLD di euro. Di questi, 21,2 MLD (60% circa) sono stanziati direttamente dal budget dell’Unione Europea e 14,3 MLD provengono dal cofinanziamento nazionale.

Ad oggi, le regioni italiane hanno speso in totale 7,4 MLD di euro (4,6 MLD di fondi UE e il resto di fondi nazionali). Questa spesa è pari al 23% della dotazione a disposizione delle regioni. Dagli impegni (“decided”) di spesa, si ricava che le regioni italiane stanno finalizzando interventi per un ammontare complessivo di 25,8 MLD di euro, cioè il 69% del totale dei vari programmi regionali.

Vista la sequenza logico-temporale che lega i pagamenti agli impegni, è plausibile immaginare che l’attuazione finanziaria dei programmi regionali proseguirà in modo regolare, poiché gli attuali impegni alimenteranno nei prossimi mesi nuova spesa.

Le attuali quote di spesa e di impegni variano da regione a regione. In particolare, le regioni in ritardo di sviluppo (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) registrano una spesa che è mediamente minore della media nazionale (18% contro 23%), mentre gli impegni di spesa raggiungono il 72% dell’intera programmazione, 3% in più rispetto alla media nazionale. Al di sotto della media nazionale si collocano le regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna) sia per quanto riguarda la spesa effettuata (17% del programmato regionale) sia per la quota degli impegni (63%). La spesa delle regioni maggiormente sviluppate (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto e le province Bolzano e Trento) raggiunge il 25% del totale delle loro programmazioni regionali.

L’analisi di questi dati consente di effettuare alcune considerazioni.

Sebbene l’avvio del ciclo di programmazione 2014-2020 sia stato lento e differito, nel corso del 2018 le regioni hanno accelerato l’attuazione finanziaria dei POR, tant’è che i target di spesa certificata di fine 2018 sono stati sempre raggiunti (ad eccezione del programma FSE della Valle d’Aosta). Si tratta di valori potranno consentono a qualche regione di ottenere addirittura una premialità, ossia un incremento di fondi, in base al Regolamento (UE) n. 1303/2013 che norma le disposizioni comuni ai fondi strutturali e di investimento europei.

A parità di altre condizioni, questi risultati di spesa sono stati possibili perché dopo 25 anni di programmazione comunitaria le regioni hanno ben appreso come utilizzare il canale dei finanziamenti POR: è certamente accresciuta nel tempo la loro capacity building. Essi, inoltre, rappresentano la base numerica per smentire l’errata percezione che le regioni italiane, e in particolare quelle del Mezzogiorno d’Italia, restituiscono all’UE le risorse comunitarie: se tutte le regioni hanno finora utilizzato, in media, il 23% delle risorse messe a disposizione da Bruxelles, questa quota già supera il 30% in molti programmi regionali (per il FESR Emilia Romagna, Toscana e Valle d’Aosta; per il FSE Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e provincia di Trento). E’ pari al 21% per le regioni in ritardo di sviluppo, al 17% per le regioni in transizione e al 25% per le regioni maggiormente sviluppate.

Questi confronti tra regioni devono, comunque, essere interpretati con cautela. Infatti, oggi una classifica delle regioni più e meno virtuose nella capacità di gestione dei fondi UE 2014-2020 è poco informativa, sia perché i programmi non sono ancora conclusi sia soprattutto perché diverso è l’ammontare dei fondi e, quindi, diversa è la numerosità delle procedure da attivare e da finalizzare in ciascuna regione. In altre parole, è più facile gestire un programma relativamente “piccolo” rispetto a un programma relativamente “grande”; ciò è confermato dalla correlazione negativa (-0.25) che esiste tra il peso di ogni programma regionale sul totale  e la spesa di ciascuna regione (in % del totale).

La principale conclusione cui giunge questa nota riguarda la capacità delle regioni italiane di rispettare il timing della spesa 2014-2020, non incorrendo, quindi, in disimpegni automatici delle risorse UE. Sotto questo profilo, la performance finanziaria è buona anche in Calabria, Basilicata, Sicilia, Puglia e Campania, che – in base alle regole di ripartizione – ricevono e mobilitano ingenti somme di denaro: si pensi che queste cinque regioni assorbono circa il 60% della programmazione regionale in Italia del 2014-2020.

Si sta spendendo, quindi, e si spendendo seguendo la tempistica concordata. Rimane da capire se gli interventi che si stanno finanziando consentiranno di perseguire gli obiettivi fissati ad inizio ciclo e, quindi, se saranno funzionali alle finalità che caratterizzeranno la nuova programmazione 2021-2027. Il monito, quindi, è di continuare a spendere, ma di guardare molto di più rispetto al passato alla qualità della spesa. Come dire, spendere è una condizione necessaria, ma non sufficiente affinché un programma regionale riceva una valutazione positiva.

 

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