Il Porto di Gioia Tauro è l’infrastruttura più importante nel sistema del trasporto merci della Calabria, la cui attività produttiva è da sempre concentrata nelle funzioni di trasbordo di container. Tenendo in considerazione le dinamiche e la geo-politica nei traffici marittimi è utile formulare qualche breve riflessione sul futuro del porto di Gioia Tauro e sul ruolo che può svolgere come driver di sviluppo della Calabria. In questo contributo si fa esclusivo riferimento alle implicazioni legate al mantenimento dell’attuale organizzazione della filiera produttiva all’interno del porto (solo e, comunque, transhipment).
La dimensione del transhipment a Gioia Tauro La ventennale esperienza delle attività svolte a Gioia Tauro indica la presenza di un’elevata specializzazione nel transhipment che ha consentito al porto calabrese di diventare uno snodo fondamentale nel traffico di merce containerizzata nel Mediterraneo: nel 2016 la quota di mercato assorbita da Gioia Tauro nella movimentazione di container nei porti Italiani è pari al 26% del totale nazionale (poco più di 9.7mln di TEUs), seguito dal porto di Genova (21,7%) e da quello di Marina di Carrara (12%). Rispetto al 2008, che è l’anno di massima movimentazione di TEUs (3,64mln, il 32% del traffico nazionale), dal 2009 al 2012 si sono avute variazioni annuali positive e negative, mentre negli anni 2013, 2014 e 2015 il volume assoluto di TEUs è sempre diminuito e il dato del 2016 ne interrompe il trend decrescente. Con questi volumi di traffico, Gioia Tauro è sempre stato il primo porto italiano nella classifica mondiale della movimentazione di container (nel 2014 si è collocato alla 50-esima posizione).
L’impatto occupazionale del trasbordo di container In termini di effetti sul mercato del lavoro, il punto di massima occupazione diretta è stato pari a 1399 addetti diretti, registratosi nel 2008 in coincidenza con il massimo volume di merce movimentata. Considerando valida la regola empirica che ad un addetto in attività portuali “direttamente” legate alla movimentazione corrisponde un addetto in attività di servizi portuali, il porto di Gioia Tauro ha determinato un livello di occupazione indiretta di 1400 occupati. La stima dell’occupazione totale è di circa 2800 addetti. Queste brevi considerazioni chiariscono che le specificità del transhipment limitano la diffusione sul territorio degli effetti legati alla presenza di un porto. Sono numeri importanti per il ristretto mercato del lavoro della piana, ma certamente sono poca cosa rispetto all’impatto che il porto potrebbe avere se si diversificassero le attività portuali e se tutta l’area portuale fosse densa di attività produttive. Da ciò si deduce che se a Gioia Tauro permarrà la specializzazione del trasbordo di container, l’impatto sul mercato del lavoro continuerà ad essere unicamente correlato alla movimentazione di merci e stimabile – utilizzando la relazione “1 addetto diretto, 1 addetto indiretto”- in una capacità di assorbimento di forza lavoro che al massimo potremmo immaginare essere uguale a quella registrata nel 2008.
Il mercato italiano è dinamico Abbiamo visto che in termini assoluti il porto di Gioia Tauro occupa la prima posizione in Italia in termini di movimentazione di container. E’ una cosa buona, poiché segnala come l’infrastruttura abbia stabilizzato la sua posizione di leader in questo segmento del traffico marittimo. Tuttavia, il mercato sta mutando e l’elevata dinamicità che lo caratterizza sembra escludere Gioia Tauro. Se si considera il traffico effettuato solo nei porti Italiani, si osserva che la quota di mercato di Gioia Tauro mostra un regolare trend decrescente, passando dal 37% del 2000 al 26% del 2016. In 15 anni, Gioia Tauro ha perso il 10% della quota sul mercato nazionale e questo si è verificato in presenza di una crescita abbastanza regolare della movimentazione totale di container. Questa evidenza (diminuzione della quota e incremento dei volumi aggregati) segnala che il porto di Gioia Tauro non ha mostrato alcuna capacità di riposizionamento nel mercato per intercettare i nuovi flussi di commercio che si osservano in Italia. In questa sede ci si limita a rilevare la perdita della quota di mercato, ma si tratta di un fenomeno che merita di essere approfondito.[1]
Le prospettive legate al transhipment Se Gioia Tauro manterrà la centralità come porto del transhipment nel Mediterraneo e se il trasbordo rimarrà l’unica attività svolta nell’area portuale, è ragionevole pensare che la movimentazione sarà in media uguale a quella passata: i TEUs oscilleranno tra 2,5-3 milioni all’anno e gli occupati (diretti e indiretti) non supereranno mai le 3000 unità. Tuttavia, le dinamiche settoriali e gli interessi delle grandi compagnie di navigazione indicano che Gioia Tauro rischia di perdere la centralità nel traffico di container. In tal caso, gli scenari ammissibili sono due. Quello più pessimista è che il concessionario non avrà più interesse di stare a Gioia Tauro: i cavalieri, le gru e le banchine del porto diventeranno un caso di archeologia industriale. Lo scenario più realistico è che per reagire ai cambiamenti del mercato, il concessionario si riposizioni in altri porti del Mediterraneo e riduca i traffici di container da e per Gioia Tauro, trasformandolo in un porto da ultima istanza. Sarà un porto utilizzabile quando il traffico nel Mediterraneo sarà tanto elevato da non poter essere gestito negli altri porti e, quindi, i picchi verranno trasferiti a Gioia Tauro. La conseguenza più ovvia di questa scelta è l’adattamento dell’occupazione ad un livello compatibile con la ri-organizzazione delle attività portuali del concessionario. In altre parole, è verosimile immaginare che se avremo un peak-port, gli esuberi saranno maggiore degli attuali 400 e, a questi, dovranno aggiungersi quelli legati all’occupazione indiretta.
Sintesi Questa nota si limita ad analizzare le implicazioni dell’ipotetica scelta di avere in Calabria un porto di importanti dimensioni specializzato nell’attività di trasbordo di container. La migliore ipotesi che si può fare è che a Gioia Tauro si continui ad avere una movimentazione che oscilla tra i 2,5 e i 3 milioni di TEUs all’anno. In tal caso, l’impatto sullo sviluppo della Calabria sarà limitato all’occupazione nel settore delle attività portuali, che al massimo non supererà le 3000 unità. Così come in passato, si continuerà a guardare al porto come ad una struttura avulsa dal territorio. Tuttavia, le cose possono peggiorare. In prospettiva potremmo osservare meno movimentazione di container e, quindi, minore occupazione: Gioia Tauro sembra, infatti, essere escluso dal dinamismo che contraddistingue il mercato mondiale della movimentazione di container. Se il modello di sviluppo del porto non prevede attività portuali diverse dal transhpment, è chiaro che la forza lavoro occupata non raggiungerà mai livelli tali da incidere in modo radicale nel mercato del lavoro regionale. È altrettanto ovvio che gli esuberi dovuti ad una riduzione del traffico containerizzato rischiano di trasformarsi in nuovi disoccupati. Per reagire agli effetti di queste tendenze del mercato globale, è necessario che a Gioia Tauro si diversifichino le attività portuali e si fissino, in via conclusiva, le pre-condizioni affinché il traffico marittimo diventi un’effettiva opzione da utilizzare per i flussi di merce da e verso l’entroterra calabrese. Se l’obiettivo è stimolare la crescita della regione, non ha senso perseverare con il transhipment.
[1] La prima è legata a potenziali vincoli produttivi del porto di Gioia Tauro: se l’infrastruttura lavora al massimo, è ovvio che non è in grado di rispondere ai nuovi impulsi del mercato. La seconda ragione può essere legata a scelte manageriali della società concessionaria, la quale potrebbe essere disinteressata alla nuova domanda del trasporto merce nazionale. La terza ragione potrebbe dipendere da disequilibri che possono essere esistere tra le specificità della nuova domanda di traffico e le caratteristiche del porto calabrese (crescita di altri di nuovi porti; rotte marittime dedicate su altri porti).