Un ministero per il Mezzogiorno

Sul Corriere della Sera del 13 Dicembre 2016 è stato pubblicato un interessante articolo dal titolo “Il Mezzogiorno sarà al passo con il Nord nel 2143 (grazie al Ministero?)”. Il pezzo era a firma di Marco Demarco, già fondatore e direttore, assieme a Paolo Mieli, del Corriere del Mezzogiorno. Demarco è un autorevole conoscitore della materia e appassionato “cultore” del meridionalismo. L’occasione era il varo del  nuovo Governo Gentiloni, dove è stato riproposto un ministero “per la coesione territoriale e per il Mezzogiorno” affidato al Ministro Claudio De Vincenti. 

Demarco commenta ironicamente il potenziale ruolo del Ministero: “ammesso che, così come eccezionalmente avvenuto nel 2015 , il Sud continui a crescere  più del Centro – Nord, facciamo  con un differenziale dello 0,4% a suo favore, per azzerare  il divario, occorrerebbero 127 anni. Si arriverebbe al 2143, a ghiacciai ormai sciolti, secondo alcuni….con un secolo e mezzo di divario alle spalle e con un orizzonte così lontano nel tempo, ha dunque senso settorializzare  nuovamente la materia  e mettere in piedi un nuovo  apparato burocratico, avendo pochi mesi a disposizione?”

La disamina è interessante, ma le conclusioni sono contraddittorie, perché se la premessa è corretta e spietata nei numeri, che testimoniano l’impressionante gravità di un problema, “rebus sic stantibus” irrisolvibile, la soluzione di Demarco di abolire ( o non riproporre) uno strumento governativo ad hoc che affronti il problema, non sembra così consequenziale e logica. L’unica “consequenzialità” che emerge dai dati di Demarco è definitivo fallimento delle politiche messe in atto dai vari “ministeri per il mezzogiorno”, nelle svariate denominazioni assunte. Da Giulio Pastore, che ha aperto la stagione dei ministri per “l’intervento straordinario nel Mezzogiorno” (1964 – 1968) nei governi Moro II e III  a seguire Caiati, Taviani, Mancini,Andreotti, De Mita,  Donat Cattin, Signorile, De Vito, Di Giesi, Capria, Mannino, Reviglio fino a  Beniamino Andreatta , che  nel 1993 (governo Amato I) ne ha chiuso la stagione, per poi passare dopo oltre dieci anni  ai ministri per la coesione territoriale  e lo sviluppo, inaugurati da Gianfranco Miccichè nel 2005 – 2006, (governo Berlusconi III), cui sono seguiti  Raffaele Fitto nel 2011 (governo Berlusconi IV) , Fabrizio Barca nel 2013 (governo Monti) , Carlo Trigilia nel 2014 (governo Letta) e, dal 12 dicembre 2016 , il “contestato” (da Demarco) Claudio De Vincenti (governo Gentiloni ).

Appare del tutto evidente l’inaccettabilità di quella che è una vera e propria “vergogna” nazionale di una sacca così evidente di sottosviluppo nell’evoluto occidente,  e ciò in senso “oggettivo”, oggi certificato dalla stringatissima analisi di Demarco: nella migliore delle ipotesi, ci vorranno altri 150 anni per riportare il Sud al pari del Nord! La Germania ha impiegato meno di ventanni, ad unificarsi. Ecco, la dimensione storica e antropologica del problema sta tutta qui, nel fattore tempo, che non è una variabile indipendente. E’ il fattore tempo che impressiona e appare  ozioso andare ad individuare le responsabilità da attribuire ai Borboni, come da certa pubblicistica meridionale,  oppure ai popoli meridionali geneticamente “unfit” – come dalle acute ed interessanti, seppur non condivisibili, analisi di Richard Lynn –  a destra o sinistra, a governi o governicchi. E’ un dato oggettivo, un problema che la (ex) 5° potenza industriale del mondo, nel cuore della Europa della coesione territoriale non è capace di risolvere.

Per ritornare al tema proposto da Demarco, è evidente che l’esistenza di un ministero per il Mezzogiorno che si limiti ad enunciare ad inizio di mandato buoni propositi e si riprometta di “investire” (ergo, sperperare miliardi di fondi pubblici)  con lo scopo di creare consenso politico, elettorale o clientelare, senza alcun effetto sugli indicatori di sviluppo economico e sociale delle regioni interessate, non ha ragione di esistere. Ma non è certamente cancellando uno strumento operativo appositamente dedicato alla risoluzione  che si risolve  un problema. Ed allora, stante la portata della problematica e l’importanza strategica per lo sviluppo dell’intera nazione (inutile stare a ribadire i vantaggi per l’economia nazionale se ripartisse il Sud), un Ministero con l’obiettivo di risollevare le sorti delle aree depresse del Paese dovrebbe avere:

Il ruolo di strumenti indipendenti  di conoscenza e partecipazione, un esempio è il think tank Opencalabria, dovrebbe servire da stimolo per i Governi per contribuire alla verifica puntuale di questi quattro punti, per valutarne la coerenza intrinseca ed estrinseca, l’idoneità al raggiungimento degli obiettivi prefissati nei tempi previsti. Il tutto improntato alla massima divulgazione e trasparenza.  L’inevitabile sanzione “politica” in capo ai responsabili, in un contesto di chiarezza di obiettivi misurabili, semplificherebbe tutto anche agli occhi dei cittadini e degli addetti ai lavori, con l’apertura di un dibattito costante improntato ad un fact checking ben più produttivo rispetto alle millanterie elettoralistiche o sconclusionate, date in pasto a cittadini disattenti o poco informati, vittime sacrificali.  ma nello stesso tempo colpevoli carnefici del proprio destino e di quello delle future generazioni. A quel punto, con una mission chiara e i mezzi per attuarla,  i fenomeni da baraccone, i nepotismi, i cavalli fatti senatori dai Caligola di turno, gli interventi a pioggia o legati a burocratiche ed inestricabili arzigogolature, non troverebbero spazio, perché per risolvere i problemi servono competenze, eccellenze, preparazione, e queste non sempre si ritrovano nei propri sodali. In tal caso, anche il “politico” più spregiudicato sarebbe costretto, per mantenere la propria posizione, ad avvalersi di soggetti che possano garantirgli il risultato. Sarebbe la meritocrazia, che lentamente sostituirebbe la peggiocrazia italiana…e calabrese!

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