Un sistema fiscale pro-sviluppo per la Calabria, please

Se a Cuneo il peso complessivo del Fisco è minore di circa 20 punti percentuali rispetto a Reggio Calabria, significa che qualcosa è andato per il verso sbagliato.  L’impatto della tassazione sulla crescita economica di un territorio è argomento noto, con secoli di letteratura economica alle spalle. Ma gli effetti sono misurabili anche dai non addetti e, in Calabria, sono tutt’altro che rosei.

I dati dell’ultimo rapporto della Banca d’Italia sull’economia calabrese (link in fondo al testo) dicono che dall’inizio della crisi (quando di certo non navigavamo nell’oro) al 2014, la Calabria ha perso il 15,5% del PIL. Un’enormità. Ma al di là dei dati negativi tristemente noti, anche i recenti dati positivi di certo non fanno sorridere per il loro significato sotteso. Ad esempio, nel 2014 gli occupati sono aumentati, +1,1% per gli uomini e 0,4% per le donne. Ma guardando più a fondo, l’occupazione è diminuita per i giovani della fascia di età 15-34 (- 1%), per la fascia 35-54 (-2,3%), mentre è salita in maniera consistente per la fascia superiore ai 55 anni (addirittura +12,1%), naturalmente anche a causa dell’aumento dell’età pensionistica.

I dati macroeconomici risentono enormemente delle distorsioni create dal sistema fiscale. Nel nostro ordinamento, l’autonomia sul versante delle entrate di competenza degli Enti locali è limitata. Il progetto di federalismo non è stato portato a termine e lo Stato centrale resta il protagonista della scena (ma questo meriterebbe un capitolo a parte).

Tuttavia, gli enti territoriali mantengono margini di potere discrezionale che, seppur limitati e circoscritti, possono incidere pesantemente sul livello complessivo di tassazione, come dimostra l’esempio Cuneo/Reggio Calabria. E’, quindi, onere anche di Regioni, Province e Comuni ragionare sugli effetti economici delle loro scelte in termini di aliquote, laddove ciò è consentito, con la consapevolezza che tali scelte possono cambiare il destino di un territorio.

Un problema, evidente, è che la politica fiscale calabrese non è attualmente orientata a sostenere una crescita e uno sviluppo economico. Leggendo la classifica che indica il Total Tax Rate (TTR nel prosieguo) – il peso complessivo del Fisco – elaborata dall’Osservatorio CNA, si vede che nel 2015 il TTR è sceso dal 63,9 al 62,2% a livello nazionale. Ma quel che interessa (e rattrista) è vedere al primo posto Reggio Calabria (74,9%), nonché vedere altre 3 province nella Top 15: Crotone 11esima (67,6 %), Cosenza 12esima (67,2%), Catanzaro 15esima (66,8%). Solo Vibo Valentia “si salva”, 80esimo posto (59,8%), unica al di sotto della media nazionale. Di conseguenza anche la classifica del Tax Free Day – il giorno in cui si finisce di lavorare per lo Stato – vede le città calabresi protagoniste in negativo: si va dal 31 agosto di Catanzaro, al primo settembre di Cosenza, al 3 settembre di Crotone e al 29 di settembre (ultimo posto) per Reggio Calabria. Anche qui si salva solo Vibo Valentia, i cui cittadini “si liberano” dal Fisco il 5 agosto.

La Regione con il PIL pro-capite più basso che paga le tasse più alte. Più che un paradosso, una beffa. Ma quali voci di entrata hanno causato questa situazione? Di chi sono le colpe? Governo, Regioni, Province o Comuni? In diritto penale potremmo parlare di “concorso di persone nel reato”.

Tra il 2012 e il 2014 l’importo complessivo medio di imposte locali è aumentato per le famiglie calabresi di 276 €, mentre nella media delle Regioni a Statuto Ordinario l’aumento è stato di “soli” 100 €. Le voci che fanno la differenza negativa a danno dei contribuenti calabresi provengono da IRAP e addizionale IRPEF. Quindi colpa delle regioni verrebbe da dire istintivamente. “Ni”. Infatti per quanto concerne l’IRAP, in Calabria si applica l’aliquota massima, 4,97 %, superiore alla media nazionale. Partendo da una base del 3,9%, le regioni possono aumentarla o diminuirla fino a un massimo dello 0,92%. Ma nelle regioni caratterizzate da un grave disavanzo nella sanità – quali, ahinoi, la Calabria – vi è un aumento automatico fino allo 0,15% oltre la soglia consentita (3,9+0,92+0,15=4,97). Di chi è la colpa? Dello Stato che fa ricadere su imprese e lavoratori gli sprechi della malasanità, ma anche delle Regioni che hanno creato un enorme buco di bilancio che fino a poco tempo fa non era nemmeno quantificabile.

Con le addizionali IRPEF la musica non cambia. In Calabria nel 2015 le stesse sono state pari al 2,07%, anche qui al di sopra della media nazionale. Un’aliquota base dell’1,23 %, un innalzamento discrezionale fino allo 0,5 % (1,1 dal 2014, 2,1 dal 2015…). L’innalzamento è, invece, automatico sempre per le regioni con elevati disavanzi sanitari, con un ulteriore aumento fino allo 0,30 % (1,23 + 0,5+ 0,30 = 2,03%).

Per il concorso di “persone” nel reato, nelle Province le entrate sono aumentate del 4% annuo tra il 2011 e il 2013, a fronte di una certa stabilità a livello nazionale. Per non essere da meno, nello stesso triennio nei Comuni le entrate sono aumentate del 14,7% annuo, mentre per la media nazionale l’aumento è stato dell’ 11,1%.

Se questo è il quadro d’insieme e allo stesso si aggiungono una riduzione della spesa in conto capitale sul triennio del 7,9% annuo che ha colpito soprattutto gli investimenti fissi (attenti alle bugie, quella corrente è aumentata del 3,6% nello stesso periodo) e un utilizzo dei fondi europei che ha destinato (nel POR 2007-2013) a ricerca, innovazione e competitività l’8,2 % delle risorse a fronte di un 15,8% nella media nazionale, beh, signori miei, ci sarebbe da sorprendersi se la Calabria non fosse la Regione più povera d’Italia.

Ecco perché sarà difficile uscirne senza una riduzione della spesa (quanti sprechi ci sarebbero da attaccare..), una rimodulazione della stessa per favorire ricerca e innovazione e una decisa azione di riduzione della pressione fiscale locale. Ovviamente per l’ultima voce è anche necessaria una presa di coscienza del Governo nazionale, che non può continuare a far riversare gli scempi del connubio mafia-politica-sanità sulle spalle di cittadini e imprese. Il contratto sociale è rotto da decenni, ma di certo non si sta facendo nulla per riavvicinare le parti.

Eppure il Governo non sembra averlo capito. In fondo la Calabria non sposta le elezioni, non lo ha mai fatto. Infatti, come noto, la Legge di Stabilità del 2016 cancellerà l’IMU/TASI sull’abitazione principale. Ebbene nel 2014 l’imposta per l’abitazione principale per una famiglia media calabrese è stata pari a 128 €, addirittura il 60 % in meno rispetto alla media italiana! Si taglia, quindi, l’unica imposta in cui i calabresi pagavano di meno rispetto al resto del Paese.

Un Governo attento alle sorti della Calabria avrebbe concentrato le risorse diversamente, magari eliminando gli aumenti automatici su IRAP e addizionali IRAP per il disavanzo sanitario che sono profondamente ingiusti, nonché distorsivi. E un governo regionale dovrebbe essere in trincea su questi argomenti, ma, francamente, è dubbio anche se abbia piena consapevolezza del problema.

Sitografia di riferimento:

https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/economie-regionali/2015/2015-0021/2015-0021.pdf

https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/economie-regionali/2015/2015-0018/1518-calabria.pdf

http://www.cna.it/cna/dipartimenti-e-uffici/politiche-fiscali/notizie/nel-2015-discesa-dell17-il-peso-del-fisco-sulle

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