Zone Economiche Speciali nel Mezzogiorno d’Italia. Come cogliere l’opportunità

Drapeaux Berlaymont

E’ attesa per questi ultimi giorni del 2017 l’approvazione del decreto del presidente del consiglio dei ministri (DPCM) che disciplinerà l’istituzione delle Zone Economiche Speciali (ZES) nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia. L’aspettativa è elevata, poiché da più parti si ritiene che questo strumento possa stimolare gli investimenti produttivi nelle regioni meridionali. Le prime ZES che saranno avviate nel 2018 saranno quelle di Napoli-Salerno e di Gioia Tauro. Le proposte delle altre regioni si avranno nel 2019 e nel 2020. Tra gli aspetti procedurali da regolamentare, il DPCM fornirà dettagli sul ruolo e sulla composizione del Comitato di Indirizzo e sul Piano di Sviluppo Strategico che la regione proponente dovrà allegare alla richiesta di istituzione della ZES.

Il Comitato di Indirizzo sarà presumibilmente composto da due rappresentanti ministeriali, da un rappresentante della regione e sarà coordinato dal Presidente dell’Autorità Portuale in cui ricade la ZES. E’ evidente che per l’ipotesi ZES in Calabria, la pubblicazione del DPCM rappresenterà anche l’occasione per garantire stabilità alla governance del porto di Gioia Tauro. Infatti, la presidenza dell’autorità portuale svolgerà il delicato ruolo di indirizzare le attività del Comitato di Indirizzo, tra cui quelle più sensibili, da un punto di vista economico, saranno le seguenti: (A) promuovere attività in grado di attrarre investitori e (B) assicurare il rispetto del Piano di Sviluppo Strategico. Quest’ultimo è un documento da redigere a garanzia della predisposizione di un’efficace ipotesi di sviluppo regionale. Si tratta di un piano strategico perché riporterà, tra le altre cose, (i) le aree ricadenti nella ZES (al momento attuale in Calabria sono individuati 1465 ettari, incrementabili forse a 2000), (ii) la tipologia di attività produttive di cui si intende incentivare la localizzazione nell’area ZES, nonché (iii) le attività di specializzazione territoriale che la Regione intende potenziare. Peraltro, sarà obbligatorio allegare anche un’analisi degli effetti socio-economici che si prevede saranno generati su scala regionale dalla ZES.

Accanto a tutto ciò, diventerà altrettanto cruciale incrementare la dotazione finanziaria per la fiscalità di vantaggio utilizzando fondi regionali. E’ ragionevole pensare che in sede di presentazione della richiesta per istituire la ZES, le regioni saranno obbligate a dichiarare quanto investiranno. In caso contrario, sarebbe difficile poter valutare sia il valore potenziale degli investimenti che ciascuna ZES riuscirà ad attrarre (effetto leva del credito d’imposta) sia il relativo impatto socio-economico. Peraltro, il successo delle ZES dipenderà anche dai capitali che i privati (banche, investitori istituzionali) renderanno disponibili per sostenere l’erogazione della fiscalità di vantaggio. E’ abbastanza chiaro che la dotazione finanziaria prevista dal decreto SUD (206 milioni di euro per il triennio 2018-2020 e per tutte le ZES) è insufficiente per attivare, partendo dalle aree ZES, processi di sviluppo virtuoso nelle regioni meridionali.

Si tratta di importanti elementi che qualificheranno la richiesta di istituzione della ZES e che segnaleranno l’idea di sviluppo che la regione proponente prevede di implementare non solo nell’area ZES, ma in tutto il territorio regionale. Sono scelte che dovranno essere effettuate tenendo conto di una moltitudine di aspetti che condizioneranno il successo delle ZES. Per esempio, in sede di predisposizione del Piano di Sviluppo Strategico sarà dirimente spiegare (A) se è conveniente puntare su un’area ZES ad elevata specializzazione produttiva (se si, quale e perché?), oppure se è preferibile avviare una ZES generalista; (B) se è più opportuno stimolare l’insediamento nella ZES di imprese regionali, oppure se è più efficace attrarre investimenti extra-regionali/esteri; (C) se è possibile e fattibile creare una concentrazione spaziale di piccole-medie imprese, oppure se si ritiene prioritaria la presenza di una o pochissime big-company (sapendo che il credito di imposta sarà concesso per investimenti al massimo di 50 milioni di euro).

Affrontare con rigore tutti questi aspetti implica anche considerare il posizionamento dei singoli porti nel mutevole scacchiere del trasporto marittimo che interessa il Mediterraneo e valutare gli elementi di competizione inter-regionale che inevitabilmente scaturiranno dalla nascita di più aree ZES. Un punto su cui sarà obbligatorio fornire un adeguato dettaglio riguarda, pertanto, il quesito che si porrà il potenziale agente che, per esempio, deciderà di investire a Gioia Tauro: “Quali sono i vantaggi competitivi di Gioia Tauro rispetto a Napoli/Salerno tali da rendere conveniente il mio investimento in Calabria per i prossimi sette anni?” In assenza di particolari condizioni di attrattività, il generico investitore continuerà a chiedersi: “perché devo insediarmi a Gioia Tauro, piuttosto che a Napoli/Salerno?” E’ evidente che per valutare e indirizzare tutte queste dinamiche decisionali sarà fondamentale che la Regione Calabria prepari un documentato Piano di Sviluppo Strategico in grado di segnare una chiara linea di demarcazione non solo su cosa si intende fare a Gioia Tauro, ma soprattutto su come si intende farlo.

Una prima ipotesi di lavoro potrebbe essere quella di scrivere il Piano di Sviluppo Strategico assegnando una priorità all’idea di avere una ZES ad elevata specializzazione produttiva. Si tratta di un’ipotesi legata al fatto che le ZES generaliste funzionano poco. Inoltre, occorrerà dare spazio alle imprese che operano nell’anello terminale di qualche preesistente filiera produttiva. Incentivare investimenti per attività industriali avulse dalle specializzazioni produttive della regione avrebbe poco senso perché limiterebbe la diffusione sul territorio dei potenziali benefici della ZES.

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